“Una tenerezza che si immedesima con la situazione del nostro niente”

“Si naviga nel buio assoluto su di se’, sulla propria origine e sul proprio destino se non si affonda la coscienza di noi dentro il mare di questa parola nel suo aspetto primo, quello che suggerisce l’altra parola della Bibbia: “Ti ho Amato di amore eterno, perciò ti ho attirato a me avendo pietà del tuo niente”.

Per questo (…) è venuto Cristo, Lui “porta su di se’ il nostro niente, la nostra confusione, l’oscurità nel cammino, i nostri smarrimenti, la nostra meschinità, la nostra incommensurabilità con il significato dell’ora e del gesto, la nostra vera miseria”.

La misericordia è “una tenerezza che si immedesima con la situazione del nostro niente, della nostra resistenza e della nostra inconsistenza”, ma è anche la forza, “la forza con cui la tenerezza vince, conduce e guida, sostiene, compie la nostra miseria”. (Vita di don Giussani di Savorana, pag. 444,445)

Cosa resta quando tutto crolla

La situazione, non solo nazionale ma internazionale, ci preoccupa non poco, ma l’Italia e il mondo intero hanno conosciuto momenti simili e ugualmente tragici e sono riusciti a venirne fuori con pazienza e umiltà: la pazienza e l’umiltà di chi davanti alle difficoltà si rimbocca le maniche e ricomincia. Senza pensare all’esito: si ricomincia e basta e poi accadono degli esiti inaspettati che ci fanno dimenticare quanta fatica c’è voluta per ricostruire ciò che era in frantumi.

Interessante da questo punto di vista è la citazione fatta da Pigi Colognesi in un suo contributo a Il Sussidiario:

Qual è il compito dei cristiani in un simile frangente? La nostra lunga storia ha già presentato situazioni analoghe, e forse quella che più chiaramente ha mostrato i fattori in gioco è la crisi dell’impero romano. Cos’hanno fatto, allora, i cristiani? Rispondo con le parole di Alasdair MacIntyre: «Un punto di svolta decisivo in quella storia più antica si ebbe quando uomini e donne di buona volontà si distolsero dal compito di puntellare l’imperium romano e smisero di identificare la continuazione della civiltà e della comunità morale con la conservazione di tale imperium. Il compito che invece si prefissero (spesso senza rendersi conto pienamente di ciò che stavano facendo) fu la costruzione di nuove forme di comunità entro cui la vita morale potesse essere sostenuta, in modo che sia la civiltà sia la morale avessero la possibilità di sopravvivere all’epoca incipiente di barbarie e di oscurità. Ciò che conta, in questa fase, è la costruzione di forme locali di comunità al cui interno la civiltà e la vita morale e intellettuale possano essere conservate attraverso i nuovi secoli oscuri che già incombono su di noi. E se la tradizione delle virtù è stata in grado di sopravvivere agli orrori dell’ultima età oscura, non siamo del tutto privi di fondamenti per la speranza. Questa volta però i barbari non aspettano al di là delle frontiere: ci hanno già governato per parecchio tempo. Ed è la nostra inconsapevolezza di questo fatto a costituire parte delle nostre difficoltà. Stiamo aspettando: non Godot, ma un altro San Benedetto, senza dubbio molto diverso».