“il limite per noi è una condizione esistenziale per un divenire”

Proprio ieri un carissimo amico diceva una cosa a cui non avevo mai badato: le difficoltà, i dolori, le contraddizioni sono un’opportunità. Mi pare di comiciare a intuirne il significato…

E oggi un altro amico mi invia queste riflessionio di don Giussani sul limite:

il limite per noi è una condizione esistenziale per un divenire, è una condizione esistenziale per una crescita, per  una maturazione, per un perfici, per una realizzazione sempre più grande.

In Filippesi 3 san Paolo dice: «Non  che io abbia raggiunta la perfezione, ma corro per afferrarla, perché anch’io sono stato afferrato da un Altro».  Quindi il limite non ci frega, non ci imprigiona, non è una tomba, ma è una condizione per una pulsione nuova,  per un impeto nuovo, per un passo nuovo, è la condizione esistenziale, storica, del divenire, di un divenire.

Perché per noi il limite è condizione esistenziale, storica, per una crescita, per una maturazione, per una vita  sempre più piena?

Perché?

Perché nel limite, dentro il limite, noi ci imbattiamo nella presenza del perfetto, nella  presenza perfetta.

Questa presenza perfetta non è né noi (secondo tutte le versioni dell’io, vale a dire né una  nostra ideologia, né una nostra realizzazione, tanto meno una realizzazione pratica), né può identificarsi con alcuna  circostanza o alcun segmento di limite; ma dentro il limite c’è una Presenza, che è la presenza dell’ultimo,  del perfetto.

L’eterno è dentro il limite, e sotto l’urto, la pressione, di questa Presenza, il limite si spacca e si allarga  a un livello nuovo, urge a una realizzazione nuova, secondo la bellissima espressione del Regina Coeli nella  Liturgia della Pasqua. Questa Presenza è «un seme che fermenta il tempo», dice l’orazione finale del Regina  Coeli (c’è una bella traduzione che dice proprio così: «Il seme che fermenta il tempo»).

Giussani Luigi , Qui e ora (1984-1985) – BUR 2009

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