Il papa, le stelle e il grande mistero del Creato

PAPA/ Benedetto e le stelle: avevano ragione i Magi, la ragione non basta
Lucio Brunelli

Il papa, le stelle, e il grande mistero del Creato. L’omelia pronunciata ieri da Benedetto XVI nella solennità dell’Epifania capovolge molti degli stereotipi sul rapporto fede e scienza. La mentalità comune vuole che i credenti basino le loro convinzioni circa l’origine dell’universo esclusivamente su un a priori indimostrabile chiamato “fede” (il racconto biblico della Genesi, preso più o meno alla lettera) mentre gli scienziati poggiano le loro teorie solo sull’osservazione e lo studio dei fenomeni naturali. Posto così, sarebbe e infatti molto spesso è un dialogo fra sordi.

Il papa non ci sta. Le varie teorie “scientifiche”, come quella suggestiva del big bang ma anche per certi versi quella dell’evoluzione, non sono “affatto in concorrenza con la fede”. Il problema è “che arrivano fino a un certo punto” ma non riescono a spiegare “il senso ultimo della realtà”.

La riflessione del papa prende spunto dalla figura dei re Magi. “Sapienti che scrutavano il cielo, non per leggere negli astri il futuro, eventualmente per ricavarne un guadagno” come fanno i furbi mercanti dell’astrologia moderna. No, “sono persone certe che nella creazione esiste quella che potremmo definire la firma di Dio, che l’uomo può e deve tentare di scoprire e decifrare”. Quindi un elogio, anzi una sfida per la ricerca umana. Fiducia nel tratto di strada che la ragione può e deve percorrere. “Nella bellezza del mondo, nel suo mistero, nella sua grandezza e nella sua razionalità non possiamo non leggere la razionalità eterna…”. (Continua QUI)
 

Perchè ai Magi è apparso?

Perchè ai Magi è apparso?
Non per nulla l’Epifania è sempre stata nella storia della Chiesa la festa missionaria per eccellenza; e non per nulla il Natale era identificato con l’Epifania, cioè il primo manifestarsi del Dio nato tra noi, del Dio-uomo al mondo. 

La vita di Cristo non era sua, era per la missione. La vita di Maria non fu sua, ma per la missione. Quella vita dei pastori che, prima di vederlo, di ricevere l’annuncio, era loro, non fu più loro, ma era missione; anche se rimasero a casa loro con le loro mogli, con i loro figli e con il loro gregge. Il loro messaggio nel loro entourage, il messaggio nel paese dove erano, il messaggio che riferivano, che narravano a se stessi e agli altri, qual era? Quella vita, che per i Magi fu loro fino a quel momento, non divenne più loro.
Pensate, allora, come si capisce bene il brano di san Giovanni di ieri sera, che parla tutto di amore ai fratelli! Dice: «Non turbatevi se il mondo vi odia» , il mondo vi deve per forza odiare; l’odio inteso innanzitutto come l’estraneità totale, perché il vero odio è l’estraneità. Proviamo a immedesimarci con tutta la gente attorno a Maria, con tutta la gente attorno ai Magi, con tutta la gente attorno ai pastori. Come li giudicavano? Impazziti. Come li giudicavano? Strambi. Li sentivano d’un altro mondo, un mondo dissolto, un mondo fantasioso, vano.
Così la nostra vita non è più nostra, ma la nostra vita è missione, è il comunicare ciò che ci è accaduto.
Comunicare ciò che ci è accaduto, rendere perciò comunione la nostra presenza, rendere comunione le presenze in cui ci imbattiamo, rinnovare il miracolo della sua Presenza, rinnovare il suo avvenimento, rinnovare con gli altri l’avvenimento che Egli ha realizzato con noi: con gli altri e con le cose, con tutto.
Come è suggestivo e tremendo nello stesso tempo renderci conto – come raramente facciamo, perché ne abbiamo un’istintiva paura, mentre è proprio lo sforzo di immedesimazione di cui sto parlando che ci dà in un modo copioso la percezione precisa del volto nuovo che è in noi – di come, tanto quanto viviamo queste cose, cerchiamo di vivere queste cose, gli altri ci sentono estranei! Tutti gli altri, quasi tutti gli altri; sto parlando anche di quelli del movimento, di quasi tutti quelli del movimento, per i quali il movimento continuerà a essere (e il cristianesimo continuerà a essere) il fare iniziative o il fare discorsi, oppure una sentimentalità buona di vicinanza, di compagnia, di  fraternità o di aiuto, ma non l’avvenimento nuovo.
Non si sono ancora visti «tendere le braccia per precipitarsi sul suo seno e piangere dirottamente e comprendere tutto». È per questo che non sentono, come l’espressione suprema della propria persona, del sentimento di sé: «Venga il tuo regno», come invece la “delinquente” Sonia: «O Signore, venga il tuo regno».
Questa è la domanda che brucia dalla radice tutta la pula e la paglia, per lasciare solo l’oro della nostra persona; tutta la pula e la paglia dei nostri desideri come nostri, dei nostri progetti come nostri.
Dunque, quello che ci è accaduto è perché la nostra vita sia missione, missione nella carne, missione nella nostra carne: badate che non c’è soluzione di continuità tra il tornio e le mani che lo fanno andare, non c’è soluzione di continuità fra la macchina per scrivere e il cuore e la faccia nostre, perché tutto è corpo dell’uomo!
Missione vuole dire, perciò, rendere presente quello che si è reso Presenza a noi, dove siamo, dovunque siamo. ( LUIGI GIUSSANI) 

Gentile da Fabriano - L' adorazione dei Magi

Dice un'orazione finale della liturgia: «La Tua luce – cioè la Tua gloria, la Tua visibilità, la memoria della Tua visibilità che è il primo aspetto della Tua gloria, e la visibilità del Tuo mistero nel mondo, la Tua Chiesa, il mistero del Tuo Corpo nel mondo -, o Dio, ci guidi in ogni passo della vita e ci doni di penetrare con sguardo puro e cuore libero il mistero di cui ci hai resi partecipi»

Il Mistero, di cui ci ha resi partecipi, cos'è? Cos'è questo avvenimento? È Dio che è entrato nel mondo . per ricapitolare tutto in Se stesso, come diceva san Paolo. Perciò ci doni di ricapitolare in Lui, di penetrare con la fede tutto ciò che facciamo.
Il cuore puro è il cuore non centrato su di sé e il cuore libero è il possesso verginale delle persone e delle cose.
Il nostro rapporto con Dio e, perciò, il nostro rapporto col Dio che si è reso avvenimento, il nostro rapporto con questa Presenza sovranamente nuova e diversa, il nostro rapporto con Cristo è nell'avvenimento, cioè nella circostanza dell'istante, ora, non un minuto prima o un minuto dopo: nell'istante amare l'essere, nell'istante amare il Dio vivente, nell'istante amare Cristo. Il rapporto con Cristo è nell'istante! Dio si è reso avvenimento e «penetrare con sguardo puro e cuore libero» vuol dire vivere l'avvenimento, le circostanze, l'istante, questo punto del tempo e dello spazio contingente, effìmero, passeggero, viverlo nella fede, cioè nel riconoscimento della Presenza: adorare l'istante.( LUIGI GIUSSANI) 

Ringrazio il carissimo amico Gianni M. che mi manda spesso queste perle di saggezza!

L’unica manifestazione che ha veramente spaccato tutto: la storia, i nostri cuori, le nostre convinzioni.

L'editoriale di SOL:

Dicono che i cristiani sono ammazzati

Manifestazioni
Finalmente lo ammettono anche i giornali. I cristiani sono massacrati. O meglio: riportano il virgolettato, "Dicono che i cristiani sono massacrati".
Perché lo si scoprisse hanno dovuto morire in troppi, in maniera troppo eclatante per poterlo non vedere.
Eppure c'è qualcosa che non quadra ancora. Un'ansia improvvisa di urlare ciò che si è appena "scoperto".

Manifestiamo, si dice. Come se quelle morti diventassero invece che il germoglio di una consapevolezza la scusa per potere gridare.
Gridare cosa, altro odio? Non è alla vittime che in questa maniera si fa un favore, ma ai carnefici.

In una certa maniera è la caratteristica di ogni avvenimento della nostra epoca. Se non urla, se non si fa vedere non esiste. Come non esiste l'albero nella foresta che silenziosamente cresce o cade, come non esiste il gatto dentro la scatola. Se non lo vedo non c'è. Pensando, in fondo, che basti avvolgersi un asciugamano intorno alla testa perché la belva cessi di esistere. Se io non posso vedere lei, lei non può vedere me.

E così si scende in corteo, si sbraita nel microfono, si bloccano strade ferrovie aeroporti, si sale sulle sedie e si grida al mondo la propria idea su tutto. Possibilmente in diretta tivù.

Tra poco è l'Epifania. Epi-fania: manifestazione esteriore. Il Verbo si è fatto carne, Dio si è fatto uomo, ma ciò serve a poco se non è riconosciuto. Epifania è il momento in cui Cristo viene scoperto per quello che è: Dio-con-noi, il Re, il Messia.
Un riconoscimento non urlato, quieto, fatto di passi discreti in una stalla di un paesuncolo della più remota periferia. Senza dirette tivù o striscioni, ma con la dignità di chi sa che è più importante quello che si fa di quello che si dice. Figurarsi di quello che si urla.

Quella manifestazione ha realmente spaccato tutto. Spaccato a metà la storia, i nostri cuori, le nostre convinzioni.
Come quella che occorra gridare per esistere.
Non è vero. Noi esistiamo perché qualcuno ci ama.

Berlicche  socio di  SamizdatOnLine

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L'enigma della stella di Betlemme

Da Storia libera traggo questo interessante brano di Vittorio Messori, tratto da "Ipotesi su Gesù", SEI:

Viene ancora dall’archeologia un’altra serie di strane testimonianze. Noi oggi sappiamo con sicurezza che la più celebre astrologia del mondo antico, quella babilonese,Adorazione dei Magi - Il Ghirlandaio - Clicca per ingrandire non soltanto era anch’essa in attesa del Messia dalla Palestina. Ma ne aveva previsto la data con una precisione ancor maggiore di quella degli esseni. Ecco qui di seguito la vicenda: libero ciascuno di trarne le conclusioni che gli pare.

Tutto parte dalla stella (il testo non parla mai di cometa, come molti credono) che avrebbe brillato nel cielo di Betlemme alla nascita di Gesù e dal conseguente arrivo di certi magi dall’Oriente. Così, almeno, quanto si racconta nel vangelo di Matteo.

Non si è naturalmente raggiunta la certezza che le cose si siano davvero svolte come raccontato da Matteo, né si giungerà mai a questa sicurezza: è però certo che l’ipotesi che si tratti di un racconto simbolico deve fare i conti con una serie di scoperte effettuate nell’arco degli ultimi tre secoli.

Pare intanto provato ormai scientificamente che gli astrologi babilonesi (quasi certamente i magi di Matteo) attendevano la nascita del «dominatore del mondo» a partire dall’anno 7 a.C. Questa data, con l’anno 6 a.C., è tra quelle che gli studiosi danno come più sicure per la nascita di Gesù. Il monaco Dionigi il Piccolo, infatti, calcolando nel 533 l’inizio della nuova era, si sbagliò e posticipò di circa 6 anni la data della Natività.

In questa luce, acquistano nuovo suono i due versetti del secondo capitolo di Matteo: «Nato Gesù in Betlemme di Giuda, al tempo del re Erode, ecco dei magi arrivare dall’oriente a Gerusalemme, dicendo: "Dov’è nato il re dei Giudei? Abbiamo veduto la sua stella in Oriente e siamo venuti ad adorarlo"».

Ecco le tappe che avrebbero portato a chiarire il perché dell’arrivo e della domanda dei magi. Una vicenda che ha quasi il sapore di un «giallo».

Nel dicembre del 1603 il celebre Keplero, uno dei padri dell’astronomia moderna, osserva da Praga la luminosissima congiunzione (l’avvicinamento, cioè) di Giove e Saturno nella costellazione dei Pesci. Keplero, con certi suoi calcoli, stabilisce che lo stesso fenomeno (che provoca una luce intensa e vistosa nel cielo stellato) deve essersi verificato anche nel 7 a.C. Lo stesso astronomo scopre poi un antico commentario alla Scrittura del rabbino Abarbanel che ricorda come, secondo una credenza degli ebrei, il Messia sarebbe apparso proprio quando, nella costellazione dei Pesci, Giove e Saturno avessero unito la loro luce.

Pochi diedero qualche peso a queste scoperte di Keplero: prima di tutto perché la critica non aveva ancora stabilito con certezza che Gesù era nato prima della data tradizionale. Quel 7 a.C., dunque, non «impressionava». E poi anche perché l’astronomo univa troppo volentieri ai risultati scientifici le divagazioni mistiche.

Oltre due secoli dopo, lo studioso danese Münter scopre e decifra un commentario ebraico medievale al libro di Daniele, proprio quello delle «settanta settimane». Münter prova con quell’antico testo che ancora nel Medio Evo per alcuni dotti giudei la congiunzione Giove-Saturno nella costellazione dei Pesci era uno dei «segni» che dovevano accompagnare la nascita del Messia. Si ha così una riprova della credenza giudaica segnalata da Keplero che, con le «date» di Giacobbe e di Daniele, può avere alimentato l’attesa ebraica del primo secolo.

Nel 1902 è pubblicata la cosiddetta Tavola planetaria, conservata ora a Berlino: è un papiro egiziano che riporta con esattezza i moti dei pianeti dal 17 a.C. al 10 d.C. I calcoli di Keplero (già confermati del resto dagli astronomi moderni) trovano una conferma ulteriore, basata addirittura sull’osservazione diretta degli studiosi egiziani che avevano compilato la «tavola». Nel 7 a.C. si era appunto verificata la congiunzione Giove-Saturno ed era stata visibilissima e luminosissima su tutto il Mediterraneo.

Infine, nel 1925 è pubblicato il Calendario stellare di Sippar. E’ una tavoletta in terracotta con scrittura cuneiforme proveniente appunto dall’antica città di Sippar, sull’Eufrate, sede di un’importante scuola di astrologia babilonese. Nel «calendario» sono riportati tutti i movimenti e le congiunzioni celesti proprio del 7 a.C. Perché quell’anno? Perché, secondo gli astronomi babilonesi, nel 7 a.C. la congiunzione di Giove con Saturno nel segno dei Pesci doveva verificarsi per ben tre volte: il 29 maggio, il 1° ottobre e il 5 dicembre. Da notare che quella congiunzione si verifica soltanto ogni 794 anni e per una volta sola: nel 7 a.C., invece, si ebbe per tre volte. Anche questo calcolo degli antichissimi esperti di Sippar fu trovato esatto dagli astronomi contemporanei.

Gli archeologi hanno infine decifrato la simbologia degli astrologi babilonesi. Ecco i loro risultati: Giove, per quegli antichi indovini, era il pianeta dei dominatori del mondo. Saturno il pianeta protettore d’Israele. La costellazione dei Pesci era considerata il segno della «Fine dei Tempi», dell’inizio cioè dell’era messianica.

Dunque, potrebbe essere qualcosa di più di un mito il racconto di Matteo dell’arrivo dall’Oriente a Gerusalemme di sapienti, di magi, che chiedono «Dov’è nato il re dei giudei?».

E’ ormai certo, infatti, che tra il Tigri e l’Eufrate non solo si aspettava (come in tutto l’Oriente) un Messia che doveva giungere da Israele. Ma che si era pure stabilito con stupefacente sicurezza che doveva nascere in un tempo determinato.

Quel tempo in cui, per i cristiani, il «dominatore del mondo» è veramente apparso.

QUI potrete trovare un interessante dossier sull’argomento

Epifania

… eppure abbiamo bisogno di vedere, di toccare, di contemplare, di gioire.

No. La vita non può essere quell’inferno nel quale l’abbiamo trasformata con il nostro spaventoso e vuoto egoismo che rifugge da qualsiasi sacrificio, da ogni dedizione, dalla fatica di costruire.

Ma uno vive la dedizione, accetta il sacrificio e la fatica di costruire, se ha una speranza; e la speranza non è un dubbioso speriamo bene, ma un gioioso attendere di qualcosa che in qualche modo già conosciamo perchè presentito dal nostro cuore e che, al suo disvelarsi, riconosciamo con un sussulto.

Ecco perché i pastori, i Magi hanno riconosciuto in quel Bambino indifeso e tenero la risposta alle loro attese segrete ed hanno gioito.

I pastori, forse non sapevano neppure perchè il loro cuore palpitava di gioia, ma sapevano che qualcosa di molto bello e importante era davanti ai loro occhi; i Magi invece, dal profondo della loro sapienza, grande ma umile, sapevano che quel bambino era il Salvatore promesso da tutte le numerose profezie di secoli* e non hanno esitato ad onorarlo con i loro dono regali.

Ma hanno esultato perchè hanno visto e riconosciuto il fatto che si manifestava ai loro occhi: l’Epifania (manifestazione) del Signore del cosmo e della storia.

Credo che ciascuno di noi abbia bisogno di quel sussulto del cuore che ci fa riconoscere ciò che è vero, bello e buono e non ci resta che attendere fiduciosi che ciò accada.
Non dobbiamo disperare di incontrarlo perchè la bellezza, la bontà, la giustizia c’è: basta avere occhi limpidi e cuore semplice per poterla riconoscere.

    
               
               

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* Antonio Socci, nel suo ultimo libro, Indagine su Gesù, si sofferma a lungo sulle oltre trecento profezie che convergono tutte su quel bambino che, divenuto adulto, morendo e risorgendo, sarebbe stato il Salvatore di tuttti.