"Possiamo soltanto amare"…

Da TRACCE di questo mese traggo un "Antivirus" di Davide Rondoni:

Seduti su una bomba possiamo soltanto amare

Gli adolescenti ci fanno diventar matti. I nostri figli, o quelli altrui che ci troviamo di fronte se insegniamo o conduciamo qualcosa che li riguarda…
Sbadati, incapsulati in mode che sembrano renderli autistici, bombardati da fesserie colossali, smaniosi per il sesso che gli viene proposto in ogni modo e momento, con ritmi cerebrali e corporali che non paiono più potersi accordare in nessun amanieras a molte cose che abbiamo amato e che ci sembrava doveroso conoscere o ammirare.

Ci sembrano invincibili nella loro apatia, a volte. Odiosi, ecco la parola che leggo in molti adulti, nel loro sguardo verso questi ragazzi.
Eppure solo loro la potenza che abbiamo di fronte.
Sono la fortuna che abbiamo.
Sono il nostro tesoro.

Anni fa dicevo: la bomba su cui siamo seduti non è la crisi economica ma i nostri ragazzini.
Poi l’hanno chiamata emergenza educativa, e in tanti altri modi.

Ma la bomba sta esplodendo.
Il fatto è che di fronte ai nostri ragazzini si evidenzia, con una nudità esclamativa, e provocamdoci disagio, la necessità di una scela radicale: amarli, o volerli diversi.
Solo l’amore corregge, indirizza, aspetta, propone.

Anche Pasolini, che diceva di amare i giovani italiani, finì per odiarli, perché rispondevasno a impulsi e modelli che gli sembravano orrendi.
Aveva ragione, insomma, era un’opinione giusta la sua, ma non c’era più amore.

Invece noi, come dice il mio amico poeta Elio Cipriani, "possiamo soltanto amare".
Nemmeno l’odio serve più a nulla. Non serve l’orgoglio. Non serve l’ira.

"Possiamo soltanto amare", è questo il lavoro realistico e necessario.
Con i ragazzini, con tutti.
"Possiamo soltanto amare".

Emergenza educativa e cultura

Recentemente Mons. Luigi Negri, vescovo di San Marino Montefeltro ha affrontato il tema dell’emergenza educativa in un intervento articolato, pubblicato da www.samizdatonline.it. Vi propongo oggi un passaggio importante: 

Un primo momento: dove sta l’emergenza, dove si vede l’emergenza? L’emergenza, cioè una situazione di crisi che sembra irrisolvibile, l’assoluta  sproporzione tra la responsabilità che gli adulti dovrebbero avere nei confronti dei giovani e una loro incapacità che diventa un abbandono dei giovani al vuoto della vita riempita da un’assenza totale di valori che fa diventare cultura gli impulsi più bestiali.
 È una dialettica tra un bisogno di cultura e un’impossibilità a trovarlo.
Un bisogno di cultura: che cosa significa cultura? La cultura è  che vengano date le ragioni per vivere (George Bernanos) non è un problema di sapere ma di essere, è che uno sia aiutato ad essere se stesso, perché non è già se stesso quando viene al mondo, quando viene al mondo è una potenzialità aperta, è una tensione, è un desiderio, è una nostalgia dello stato paradisiaco, è una tensione verso qualcosa che non si possiede. Non possiedo me perché non possiedo una coscienza chiara della mia identità: chi sono io, da dove vengo, dove vado. Qual è il senso di questa tensione fra un passato che sembra sprofondare nel nulla e un futuro che sembra sprofondare nel nulla.  Come ha detto il Papa nella “Spe Salvi” citando un’iscrizione su una tomba pagana, che lui confronta con i sarcofagi cristiani:, “Così come nasciamo velocemente dal nulla più velocemente finiamo nel nulla” Io non mi possiedo vuol dire non che ho il dominio delle mie passioni la chiarezza intellettuale su tutti i problemi. Il possedere non è un sapere, è un manipolare. Non possiedo il mistero della mia vita, anzi, il mistero della mia vita quando emerge la mia coscienza vuol dire che emerge a me stesso il problema della mia vita, vuol dire che devo mettermi in movimento. Diceva Pascal: “l’uomo supera infinitamente l’uomo”. Il sentimento fondamentale dell’esistenza non è il possesso, è l’affetto come diceva san Tommaso d’Aquino “Amare il mistero di me e delle cose. Mettersi in moto verso il senso delle cose che non si possiedono ancora vuol dire aprirsi ad una dimensione misteriosa della vita, vuol dire che la vita non è solo quello che vedo, che sento, che tocco, che capisco, che razionalizzo. Una domanda di senso, verità, bellezza, di bene, di giustizia: questa è la cultura. Un uomo, se è vigile e perciò sta camminando verso la verità della sua vita, è uomo soggetto della cultura, non è la scienza, non è la storia, non è l’arte, non sono le istituzioni soggetti di cultura, le istituzioni esprimono una cultura, proteggono e possono incrementarla. Pensate a tutta la cultura delle scuole (la scuola nasce come incremento critico della cultura di un popolo) ma incremento critico: La cultura non la fa nascere la struttura universitaria o delle scuole superiori o elementari. La cultura non nasce dalla scuola ma dalla coscienza di un uomo e la coscienza di un uomo è la coscienza di rapporti, di rapporti fondamentali. Il primo rapporto fondamentale  è il rapporto familiare. Io sento questo desiderio, mi muovo, dicendolo o non dicendolo chiedo ai più grandi “ditemi perché vivo”, chiedo ai più grandi delle ragioni per vivere. Sia che venga esplicitato verbalmente sia che si esprima in un silenzio carico di attesa. La persona incomincia a vivere coscientemente il suo cammino umano se gli è data una ragione per vivere. E qui la dialettica sembra apparire in una sostanziale impossibilità ad essere risolta perché il mondo adulto, nella stragrande maggioranza dei casi non ha niente da comunicare e il giovane che chiede questa comunicazione riceve la delusione più grave della vita ed è il rifiuto. Bernanos nel 1914, (data emblematica, inizio della crisi della società cristiana e la sostituzione violenta ad essa di una società atea o ateistica, e si creò artificiosamente per accelerare il processo quella che venne chiamata la prima guerra mondiale, che soltanto Benedetto XV ebbe il coraggio di chiamare con il suo vero nome “una inutile strage”) dice “Abbiamo chiesto ai nostri adulti le ragioni per vivere, per tutta risposta ci hanno mandato a morire sulla Marna.” La Marna è la battaglia che ha ingoiato nei primi 4/5 giorni di guerra nel giugno del 1914 300.000 giovani francesi e tedeschi azzerando due generazioni di questi paesi.

Nel 2009 cosa succede? Succede che questa gente rifiutata alla quale non viene data una ragione per vivere consuma alcool in maniera spropositata, usa la droga, ha tutta la vita concentrata su divertimenti che per definizione accettata sono fuori dalla regola, anche dalla mentalità adulta. Sono diventati parte dell’immaginario comune, come il leggere sui giornali le stragi del venerdì, sabato e domenica. Ma al di là di questa situazione terribile, ma diventata  la norma, questi atteggiamenti aberranti trovano spesso la difesa da parte dei genitori, una serie di attenuanti generiche o specifiche.

Questa è la questione: una domanda che rimane, che non è finita, che ritorna periodicamente, ciclicamente e che si delude quanto più gli interlocutori privilegiati di questa domanda non sono in grado di rispondere.  (Continua)

Educare non è fornire istruzioni per l’uso, ma comunicare un’umanità nuova

E’ un argomento già trattato, ma ci ritorno perchè è sempre attuale e il Papa ce lo ha ricordato in occasione del Te Deum del 31 dicembre. Ce ne parla Gianni Merghetti in un breve articolo che si conclude con un passaggio per me essenziale:

Si educa testimoniando: è questa la sfida decisiva di questi tempi. Ed è per questo che di fronte alla domanda dei giovani ogni adulto è sollecitato a chiedersi se ciò per cui vive lo rende contento. Altrimenti, che cosa avrebbe da offrire ai giovani? Solo istruzioni per l’uso. Ma non sarebbe altro che un’offerta del tutto inadeguata: ciò che un giovane d’oggi cerca, infatti, è la felicità, e solo uomini e donne felici possono essere all’altezza di questa urgenza, l’unica vera urgenza della vita. È qui, in questa urgenza della testimonianza, che sta la sfida del Papa; ed è solo nella comunicazione di una novità umana che si può affrontare in modo efficace l’emergenza educativa.

Tutto l’articolo qui

Ma il bambino è più importante di un partito o di una rivendicazione…

I bambini devono essere rispettati nella loro infanzia, ma molti di coloro che dovrebbero educarli e rispettarli li usano come oggetti da esibire…

Mi è piaciuto questo articolo di C. Risé per Il Mattino di Napoli, segnalato da Il Mascellaro:

Di fronte a fatti di sangue, a malversazioni di vario tipo, all’indisciplina automobilistica, o alla sporcizia urbana, o ferroviaria, tutti protestano contro lo smarrimento del senso di autorità, dell’ordine, del rispetto degli altri.

Pochi, però, riflettono su come autorità, rispetto e ordine si formino. Così quando le maestre, o i genitori, mettono al collo dei bambini cartelli contro il ministro dell’istruzione, e li schierano davanti ai fotografi, pochi sembrano stupirsi.

Eppure pochi gesti minano la possibilità delle nuove generazioni di sviluppare rispetto per gli altri, e senso dell’ordine e dell’autorità, come l’utilizzo mediatico e politico dei bambini contro i rappresentanti del potere. Tanto più se l’autorità contestata è il ministro cui la legge affida l’istruzione e formazione dei giovani.

Cominciamo dallo sviluppo del rispetto, che in questo caso è, innanzitutto, quello verso i giovani e dei bambini. È rispettoso verso di loro schierarli in piazza con i cartelli appesi al collo e offrirli alle golose riprese di fotografi e cameramen? La loro privacy non vale nulla, al contrario di quelle dei figli minorenni dei vip, il cui volto viene accuratamente schermato? E perché l’immagine dei figli dei genitori narcisi, o degli allievi delle maestre spregiudicatamente decise a utilizzarli nelle loro rivendicazioni sindacali, non è protetta da nessuno? Cosa ne pensa il garante della privacy?

Molti analisti sanno bene che una foto, o una ripresa televisiva, venduta da un genitore vanitoso, o bisognoso, è poi all’origine di disturbi dolorosi, e cure difficili e complesse. Queste manifestazioni dunque sono innanzitutto lesive del più elementare rispetto umano verso i bambini che dicono di difendere. Per farlo davvero, dovrebbero rinunciare a utilizzare i loro volti, i loro occhi, le loro espressioni, ora usate come manifesti.

Quei bambini sono persone, prima che strumenti di battaglia politica.

Ma i loro insegnanti, o genitori in marcia, sembrano non saperlo. Non protestino se più tardi i ragazzi dimostreranno ai grandi la stessa mancanza di rispetto oggi usata verso di loro. Queste manifestazioni, inoltre, lanciate oggi contro Mariastella Gelmini come ieri contro Letizia Moratti, pongono le basi di un grave conflitto tra la personalità in formazione del bambino e il principio d’autorità. Quando gli insegnanti coinvolgono gli alunni nelle loro dimostrazioni di protesta, trasmettono loro, infatti, un’informazione esplicita: l’autorità non ha valore (è «ignorante», dannosa, «Gelmini mangia i bambini» – è scritto sui cartelli), va combattuta. Si tratta, però, di un messaggio «schizogeno», che tende a dividere la personalità, visto che gli stessi insegnanti rappresentano l’autorità verso i bambini.

L’ordine normativo viene così scisso in due (governo da una parte e insegnanti dall’altra), dunque indebolito, a favore di chi dispone fisicamente dei bambini (gli insegnanti) e a danno del ministro da cui il potere degli insegnanti dipende.

Al bambino viene poi fatto credere di detenere informazioni, capacità di giudizio e un potere, che non possiede: si tratta di un messaggio narcisistico, molto dannoso per la personalità. Le opinioni dei bambini non possono in realtà influire su decisioni governative, né valutarne la portata: rendere gli alunni consapevoli dei loro limiti sarebbe più educativo.

Portare i piccoli in piazza costituisce invece, tecnicamente, un abuso fisico e psichico nei loro confronti, realizzato attraverso la manipolazione delle loro opinioni e delle loro immagini, utilizzate nell’interesse personale degli adulti.

div.sociable { margin: 16px 0; }

span.sociable_tagline { position: relative; }
span.sociable_tagline span { display: none; width: 14em; }
span.sociable_tagline:hover span {
position: absolute;
display: block;
top: -5em;
background: #ffe;
border: 1px solid #ccc;
color: black;
line-height: 1.25em;
}
.sociable span {
display: block;
}
.sociable ul {
display: inline;
margin: 0 !important;
padding: 0 !important;
}
.sociable li {
background: none;
display: inline;
list-style-type: none;
margin: 0;
padding: 1px;
}
.sociable ul li:before { content: “”; }
.sociable img {
float: none;
width: 16px;
height: 16px;
border: 0;
margin: 0;
padding: 0;
}
/*
.sociable-hovers {
opacity: .4;
-moz-opacity: .4;
filter: alpha(opacity=40);
}
.sociable-hovers:hover {
opacity: 1;
-moz-opacity: 1;
filter: alpha(opacity=100);
}
*/

Amore coniugale, dono reciproco senza riserve

Mi sono imbattuta in questo titolo della rassegna stampa di oggi: Amore coniugale, dono senza riserve e mi sono commossa.   

Pensavo al bisogno grande – intuito anche dalla poetessa Ada Negri e all’origine della sua conversione – al bisogno grande di amare e di essere amati.

Quale uomo, quale giovane non sussulterebbe davanti ad una definizione così totalizzante dell’amore dell’uomo per la donna, dono reciproco senza riserve?

Non siamo fatti per questo? E se l’amore coniugale così concepito non ha molta visibilità forse che è meno desiderabile?

 

Eppure siamo fatti per questo ed è giusto affermarlo e proporlo all’attesa dei nostri giovani. Perché – diciamocelo chiaramente – preferiamo un mondo in cui i giovani siano abbandonati a se stessi e alle loro pulsioni che spesso degenerano in violenze da stadio o da bulli, oppure desideriamo dei giovani che crescano liberi e responsabili della loro libertà, affascinati da un ideale buono e realizzabile, come dimostrano gli esempi che ci sono anche se non tanto clamorosi?

 

Ebbene credo che se non ricominciamo con un’inversione di rotta assumendoci la responsabilità di mostrare ai giovani la bellezza di una vita equilibrata pur nella difficoltà non potremo mai venir fuori da questa emergenza educativa che ormai caratterizza quasi tutti gli ambienti di questi nostri anni.

Ecco perché è stato giusto porre la fiducia sul decreto Gelmini

Tralascio per un momento l’approfondimento del merito della riforma Gelmini e introduco una considerazione di tipo metodologico che da tempo mi frulla per la testa. Nel vecchio pc (ormai in coma e quasi irrecuperabile) avevo un documento in cui si parlava delle fiducie del governo Prodi: in meno di due anni erano quindici (poi se ne deve essere aggiunta qualcun’altra).
I contenuti dei pc, si sa, sono soggetti a scomparire, ma la memoria no.
Ecco perchè mi chiedo (ancora una volta) se la sinistra sia schizofrenica, smemorata oppure semplicemente in malafede. Perchè il governo Prodi poteva utilizzare la fiducia una volta sì e l’altra… sì, e questo nuovo governo, legittimato dall’ampia maggioranza degli italiani, dovrebbe rinunciare a governare per via delle opposizioni faziose e inconcludenti?

Ed ecco il motivo di questa riflessione nell’articolo di Renato Farina  per Il Sussidiario

Il decreto Gelmini sulla scuola è passato, per ora alla Camera, con il voto di fiducia. Giusto così? Certo che sì. Se c’è emergenza educativa, lo dice la parola stessa, l’urgenza degli interventi per sostenere un processo positivo, è quasi una tautologia. Sfioro appena la questione di metodo che sta dietro le proteste sull’uso di questo strumento. Non è affatto vero, come sostengono le opposizioni, che non sia stato possibile lavorare in Parlamento sui contenuti.  In Commissione cultura e istruzione ci sono stati centinaia di emendamenti nel merito, preceduti da dibattiti sulla idea di scuola e di educazione sin dal mese di giugno. Sembra poco? Le proposte del ministro si sono scontrate, quando dagli alti cieli sono scese sulla terra, con un pregiudizio tremendo e ossessivo. Si è continuato a sostenere che l’unico intento della Gelmini fosse di fornire copertura con il grembiule  e riccioli con l’educazione civica all’unica sostanza: cioè tagliare, licenziare, quasi punendo gli insegnanti e le famiglie dei bambini. Per cui il vero artefice del decreto sarebbe Tremonti. Verrebbe voglia di dire: e allora? Tremonti ha dimostrato di essere un uomo di cultura tra i più lungimiranti rispetto al destino della nostra Italia. Se ha lavorato con la Gelmini, tanto meglio. Tremonti non vuol dire tagli. Ma applicare ai conti del Paese le regole del buon padre di famiglia.

Il fatto è questo: che la sinistra italiana, in particolare il Partito democratico, si è gettata con furia contro la Gelmini non per difendere gli studenti ma per tutelare il loro leader, che ha bisogno di un terreno dove poter spostare masse urlanti. E la scuola è sempre stata un buon terreno per battaglie politiche esterne alla scuola stessa e al bene dell’educazione.

Così stavolta. Per non affrontare i problemi veri della scuola italiana si è disposti a tutto, persino a mettere a tema la scuola: però per finta.

Così negli accenti uditi ieri alla Camera non si è affermato un contenuto positivo, ma solo il contrasto, la contrapposizione. Elementi interessanti si sono ascoltati nell’intervento dell’onorevole Santolini dell’Udc, ma  resi aspri dalla logica politica tutta tesa a negare la fiducia al governo.

Ribadisco qui i punti che mi inducono a ritenere positivo il decreto Gelmini.

1)     La semplicità. Ci sono poche cose, molto chiare. Mariastella Gelmini non ha voluto proporre una riforma – lo ha ripetuto spesso – ma aggiustare, sistemare, riordinare quel che bastava per mettere al centro della Scuola non lo Stato, e neanche i problemi sociali: ma chi nella scuola va educato. L’alunno e poi lo studente.

2)     L’idea di educazione. Qui siamo al centro del decreto. Il maestro prevalente. Non unico. Non si vuole eliminare l’insegnamento dell’inglese o dell’informatica, con il docente specifico, anche se è bene possa magari  essere lo stesso insegnante dominante ad attrezzarsi al riguardo. Certo: questo provocherà risparmi. Libererà risorse in un bilancio per la scuola dove gli stipendi si prendono il 96,98 per cento del budget. Il maestro prevalente obbedisce – ed è stato ribadito dal ministro, dal Pdl ma anche dalla Lega e, fino al momento del voto, dall’Udc – ad una concezione per cui l’educazione si fonda su un rapporto personale forte. I maestro modulari (tre ogni due classi, spesso di dieci alunni ciascuna) sono stati imposti per ragioni sindacali e di welfare (occupare giovani laureati) ma anche a causa della pedagogia del doppio o triplo punto di vista da proporre ai bambini, così che possano crescere nel dubbio…

3)     Il principio di autorità. Il voto in condotta non è il toccasana contro il bullismo, ovvio. Ma fornisce uno strumento che permetta al ragazzo e alla famiglia di riconoscere in chi lo impugna un’autorità. Autorità nel senso etimologico di qualcuno che parla con certezza di che cosa sia il bene e il male, e su questa base chiede la disciplina.

4)     L’educazione allo stare insieme. Si chiama Cittadinanza e Costituzione, nel decreto. Va intesa non come una sorta di educazione statale neutra. Ma la comunicazione dei caposaldi della vita comune. Anche qui: con semplicità. Il rispetto reciproco, la cura di chi è diverso, ma anche il non sporcare i muri. L’alzarsi in piedi quando in classe entra un adulto. E così via.

5)     Il voto in decimali. Serve a ripulire dagli psicologismi e dagli sforzi espressivi spesso poverissimi i giudizi sull’italiano e la matematica.

Dinanzi a tutto questo l’opposizione sostiene che in tal modo si uccide la scuola, si toglie il tempo pieno, si licenziano i maestri. Tutte cose fasulle. Propaganda pura. Le famiglie potranno scegliere se lasciare i figli 24 o 27 o anche 40 ore a scuola. Non si capisce perché opporsi alla libertà di scelta. Possibile che tutti debbano essere inquadrati per inviare i figli a farsi indottrinare dalle scuole progressiste, che poi fanno progredire solo l’ignoranza?

Leggi anche:

Il decreto Gelmini e l’opposizione preventiva dei sindacati

Un aspetto dell’emergenza educativa


Ho insegnato per quasi 30 anni e non ricordo anno scolastico in cui non ci sia stato uno sciopero più o meno generale a cui gli studenti erano felicissimi di aderire! Senza contare l’avventura delle okkupazioni  o autogestioni  che di anno in anno si facevano sempre più deludenti e disertate. Se poi chiedevo ai ragazzi il perchè dello sciopero, i più informati parlavano di finanziaria, quasi che la parola fosse la risposta magica a ogni obiezione ragionata di certi docenti che li invitavano a spiegare la loro astensione dalle lezioni. Gli altri, più semplicemente dicevano che così almeno non facevano lezione.

Insomma per anni la scuola è stata il luogo in cui una marea di ragazzi più o meno irresponsabili, certamente abbastanza immaturi, venivano manovrati da certi insegnanti che usavano l’arma del ricatto per chi decideva di entrare in classe a fare lezione; il deterrente migliore era: “Poiché non posso andare avanti nel programma  perché più della metà della classe è assente per sciopero, chi entra viene interrogato”

Bisogna riconoscere che solo dei ragazzi masochisti sarebbero entrati in classe…

C’è da dire che lo sciopero nella scuola è il più vantaggioso, almeno per le superiori dove io insegnavo: non c’è bisogno che gli insegnanti si assentino per aderire allo sciopero (lo stipendio resta intatto!): l’attività didattica viene comunque interrotta o disturbata dalle astensioni dei ragazzi. E i docenti se ne stanno in sala professori a discutere del più e del meno…

E’ davvero odioso questo comportamento degli adulti che usano dei ragazzi per le loro scelte politiche o ideologiche; e, a scanso di equivoci, voglio chiarire non c’è stato anno con finanziarie di destra, di sinistra o di centro o di quel vi pare, in cui non si sia fatto un bello sciopero a ridosso delle vacanze natalizie.

Quest’anno non sfugge alla regola: anche quest’anno ci saranno scioperi e manifestazioni varie, ma quando poi si arriva a dover fare i conti con il programma o con la valutazione degli studenti sarà una maratona che non giova affatto al processo dell’apprendimento.

E chi paga sono sempre i più deboli: i ragazzi; che non hanno ancora capito (ma pare che pochi glielo abbiano detto) che lo sciopero è una questione che riguarda i grandi e che loro, con lo sciopero, sono defraudati del diritto ad imparare.

Ecco  un altro aspetto dell’emergenza educativa: se la scuola è il luogo in cui i ragazzi vengono informati, formati ed educati, perché la si trasforma in un luogo che danneggia i ragazzi stessi?

Mi è piaciuto in tal senso il richiamo del Presidente Napoletano che invita tutti ad un atteggiamento ragionevole; lo potete leggere qui:

Il monito super partes di Napolitano: basta con la difesa dello status quo

Affermazione e ricerca di senso – un utile contributo per il problema educativo

Sempre più frequentemente in questi ultimi tempi Benedetto XVI ci parla di emergenza educativa, definizione che rischia di rimanere quasi uno slogan se non si ha chiaro cosa sia l’educazione, perché sia necessaria e come si debba impartire.

A queste domande e ad altre risponde con una riflessione critica e sistematica sul fatto educativo, nel suo recente saggio, Affermazione e ricerca di senso, Felice Nuvoli, professore ordinario di filosofia e teologia presso la Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna e associato di Pedagogia Generale all’Università degli Studi di Cagliari.

Molto interessante, anche per i non addetti ai lavori, la sottolineatura – che parrebbe ovvia se la mentalità dominante non avesse distrutto ogni certezza in merito – che il processo educativo per l’uomo, dotato di ragione,  è fondamentale, mentre non lo è per l’animale che raggiunge molto più velocemente la maturità e vive guidato unicamente dall’istinto.

Questo è veramente importante in un momento storico abbastanza lungo, come gli ultimi decenni, in cui alcuni teorici dell’educazione sono giunti persino ad incoraggiare gli educatori a lasciare i figli e anche i giovani in balia di sé stessi, con il risultato disastroso cui assistiamo quotidianamente nelle nostre città e nelle nostre scuole.

In realtà i figli e i giovani sono influenzati in modo importantissimo dalla famiglia e dall’ambiente che frequentano ed è responsabilità degli adulti offrire loro una guida inevitabile che sarà il punto di partenza perché la loro libertà si lanci nel paragone con la realtà.

C’è nel libro un passaggio – uno dei tanti interessantissimi passaggi – in cui viene richiamata la responsabilità dei genitori nelle prime fasi della vita del figlio e mi piace riportarlo perché quanto viene detto forse può essere scontato a livello teorico, ma, praticamente, mi pare che tale responsabilità venga dimenticata. Eccolo:

Il bambino non ha bisogno soltanto di una nutrice, di un’assistenza occasionale, ma di una vera e propria sicurezza protettiva in grado di assicurargli serenità e gioia, che solo un’effettiva maternità e paternità sono in grado di garantire pienamente. Se il bambino è privato di questa funzione protettiva, se non può identificarsi con un padre e una madre (anche adottivi), è facile che si manifestino varie anomalie, da quelle cognitive a quelle caratteriali. L’insicurezza, l’ansia, la frustrazione vissute in famiglia, non restano senza conseguenze. Sono tanti gli aspetti negativi del mancato sviluppo della personalità dei figli che debbono essere addebitati all’assenza o ai contrasti dei genitori. Questa semplice osservazione dovrebbe bastare per comprendere come la mutua collaborazione del marito con la moglie non ha solo una funzione coniugale, ma anche pedagogica. (pag. 61)

Questo saggio è davvero prezioso perché oltre alla problematica educativa che coinvolge gli adulti spiegando l’inevitabilità del compito che spetta a tutti indistintamente, mette in rilievo delle sottolineature utili  per i primi educatori, i genitori, per i quali il problema più grosso è soprattutto sapere quanto sia importante  e in cosa consista concretamente l’educazione. Non basta, infatti, voler bene ai nostri figli – e bisognerebbe anche sapere cosa significa voler bene ai figli, volere il loro bene, non soddisfare i nostri gusti -, occorre anche educarli in modo adeguato e responsabile.

E questo saggio della giovane casa editrice della CUSL di Cagliari offre tutte le motivazioni per riprendere in mano un compito, quello educativo, che coinvolge in modo precipuo tutti gli adulti.

Fin che continueremo a dire: “quando sto bene io stan bene tutti!” saremo nella emergenza educativa più severa.

   E’ il post che avrei voluto scrivere io, nuovamente sconvolta  dopo aver sentito uno dei notiziari televisivi di ieri; e ringrazio Umanesimo Cristiano di averlo impostato in questo modo.  

 

Lo riporto integralmente:

 

Emergenza Educativa 

 

Educare, cioè introdurre alla realtà e al suo significato, mettendo a frutto il patrimonio che viene dalla nostra tradizione culturale, è possibile e necessario, ed è una responsabilità di tutti.

____________________

Penso che non vi siano più dubbi sull’emergenza educativa.

 

Il giovane di Verona non ce l’ha fatta.

Ufficialmente è morto per non aver dato una sigaretta a chi gliela chiedeva.

La realtà è tutt’altra.

 

La realtà è fatta di violenza, di mentalità “relativistica, edonistica e consumistica”.

Sono parole sacrosante non perché le ha dette il Papa domenica scorsa parlando all’Azione Cattolica dal sagrato di piazza San Pietro, ma perché Benedetto XVI ha fatto lettura della gravissima situazione in cui versa l’umanità oggi. L’aveva già detto indirizzando una lettera alle famiglie della sua Diocesi – la diocesi di Roma di cui è Vescovo – attirando l’attenzione proprio e specificatamente sull’emergenza educativa.

 

Un’emergenza nell’adulto, il quale spesso vive una profonda incertezza sulla stessa necessità o sensatezza dell’atto educativo

Esiste nella famiglia che dovrebbe essere la prima "agenzia educativa", la quale sta conoscendo una crisi di identità istituzionale quale mai aveva conosciuto prima.

 

Una emergenza educativa nella scuola, spesso impotente e incapace di un progetto educativo a 360 gradi.

 

Una emergenza educativa legislativa che non sembra essere capace di assicurare la certezza della pena nei confronti di chi davvero delinque. 

 

I fatti sconcertanti che carta stampata, radio a TV  propongono alla nostra attenzione sono sconcertanti, incredibili.

 

Si muore per un sigaretta, una figlia viene vientata dal padre per anni; un fratello mentre cerca nel frigorifero una pizza trova, invece il corpicino di tre fratellini congelati da oltre 20 dalla propria madre; a un giovanissimo preadolescente alcuni coetanei bruciano i capelli con accendini perché troppo lunghi e spengono le fiamme a suon di schiaffi. 

 

Basta!

Lo gridiamo alle famiglie, alla scuola, alle istituzioni politiche, alla Chiesa.

 

Si formi una catena di intenti convergenti e sinergici per fermare questa valanga di violenza e di criminalità –  mini o maxi che sia –  per ridare al nostro popolo serenità e tranquillità

 

L’educazione della persona è sempre possibile; educare si può!

L’uomo – ogni uomo – è un mendicante di verità e di bene e quindi di senso, ed è per questo che egli è educabile. Cerca solo educatori incontestabili, onesti, coerenti: peccatori si ma pronti a rialzarsi.

 

Ecco perché sono certo di poter affermare che la persona umana chiede di essere educata.

Chiede solo qualcuno che sia, che sappia, che sappia fare (essere, sapere, saper fare!)

 

Allora l’educazione si riduce in formazione.

E allora c’è bisogno di formatori/educatori che abbiano in mente il bene del singolo e il bene comune.

 

Il denominatore comune dovrebbe essere il quel principio di sussidiarietà che è la struttura portante di una società bene architettata.

 

Fin che continueremo a dire: “quando sto bene io stan bene tutti!” saremo nella emergenza educativa più severa.

 

"Quale è la natura della gravità di ciascun male, tale è la bellezza del portar aiuto, e tale è anche la vergogna del non potere" [Platone, 509 C, 1-3].

Dio non voglia!