Immaturità, attivismo, efficientismo

È perciò di estrema importanza, per chi veramente ha come criterio la fedeltà alla propria esperienza e alla propria storia, l’eliminazione dell’immaturità. Tutte le difficoltà che abbiamo nel percepire unitariamente il problema di Comunione e Liberazione nelle fabbriche o in università, il proprio gruppo parrocchiale o il proprio gruppo di comunione di famiglie amiche, che altro credete che siano, se non immaturità! Perché la persona è una (l’autocoscienza) e il Fatto cristiano è uno. Non vuole dire, allora, che io scelgo la parrocchia. È Dio che sceglie per te, e se vai a lavorare, se vai all’università, è tale e quale come sotto il campanile! E quando torni a casa dal lavoro, dopo avere battagliato nei sindacati, nel lavoro sindacale, è un altro ambito e, nella misura delle energie e del tempo, anche lì devi vivere il mistero della comunione.

L’immaturità. Dall’altra parte, però, coloro che spezzano la linea della fedeltà alla tradizione e poggiano le loro speranze, come diceva il profeta, sui carri e sui cavalli, sugli egiziani, sul patto con gli egiziani (e non dicono che rompono il patto con Javhè, ma lo rompono se lo fanno con gli egiziani, e Dio glielo dice; vedi i primi capitoli di Isaia, o i capitoli 30-31), costoro sposano l’attivismo, l’efficienza immediata.

C’è un criterio più mondano di questo?
«Verranno pseudo-cristi, pseudo-profeti e faranno cose così grandi da stupire tutto il mondo, così che la carità in molti diminuirà»

La carità che cos’è?
La fede in Cristo, aderire con la propria vita a Cristo, riconoscere Cristo, e perciò riconoscere la comunione. Questa è la carità.

Siccome gli altri fanno cose più grandi, si misconoscerà la comunione per buttarsi nell’efficientismo; di qui l’intraducibilità del Fatto cristiano, della fede, in termini culturali, come espressione culturale, perciò il sottrarre completamente la propria collaborazione a Dio nel mondo, il lasciare totalmente fare allo Spirito Santo, disinteressandosi di fare restare la Sua Chiesa nella storia, il non collaborare, insomma, a tradurre in Chiesa il mondo.
Come a dire: la Chiesa è indefettibile, perché c’è lo Spirito Santo; anche se io non me ne interesso più, va avanti lo stesso.

Nella fedeltà alla propria storia vengono bene a galla i due punti duri.
Uno, culturale: l’incidenza del Mistero nel modo di concepire, di analizzare e di teorizzare, l’incidenza del Mistero nella flessione culturale, metodologicamente. Questo è il duro, questa è in noi l’immaturità, perché la metodologia nostra è ancora mondana nella sua espressione culturale (e, almeno tendenzialmente, lo sarà sempre). Ma il Mistero non è “il mistero”; “Dio” è Cristo e la Chiesa. Il punto duro è, cioè, la comunità cristiana, il mistero del patto, della comunione, come fattore determinante, metodologicamente, il proprio modo di pensare, la propria cultura. Questo è il punto.
Dall’altra parte, l’altro punto duro, l’intoppo, è il nostro amor proprio.

Il primo è la difficoltà della metanoia come cultura, il secondo è la difficoltà della metanoia come morale, vale a dire il rintuzzarsi dell’amor proprio e il riconoscimento dell’autorità, della funzione dell’autorità.

( Appunti da una conversazione di Luigi Giussani alla “Scuola quadri” di Comunione e Liberazione. Milano, 27 febbraio 1972. Una sintesi non firmata fu pubblicata su Litterae Communionis n. 17 del giugno 1972 (pp. 3-9)