Da “Vita di don Giussani”, pag. 486:
Giussani avrà modo di ribadire le sue preoccupazioni il 12 settembre 1976, parlando agli adulti di Milano (…): “Parlavamo di decadenza del metodo. Ora la decadenza di metodo si può così formulare: noi che siamo entrati nell’agone ecclesiale e sociale quali affermatosi del cristianesimo come esperienza, adesso preferiamo l’intellettualismo sull’esperienza, e con l’intellettualismo si accompagna un esasperato attivismo. E questo è gravissimo. Ognuno di noi può dire: Il Movimento è una seria di condizionamenti alla mia vita, che non è perciò evocata da esso”. Le parole di Giussani fotografano una situazione diventata per lui insostenibile; “Si agisce molto, si fanno molte iniziative, ma non si cerca il riscontro nella vita quotidiana, mentre la vita quotidiana, con l’umiltà cui costringe, con la sofferenza inevitabile, con la responsabilità concreta e ineliminabile, renderebbe equilibrati, più concreti e meno evanescenti, più effettivamente fedeli”. Ancora una volta il suo non è un rimprovero, ma l’invito accorato a una ripresa del movimento, che per Giussani non può avvenire se non nella persona. Infatti, continua il suo intervento, “Il Signore note permette i nostri peccati e i nostri errori come un modo strano, ma il più drammaticamente operativo, il più pedagogicamente efficace, per approfondire il senso del nostro rapporto con Lui. Siamo così tenaci nell’amore proprio che, senza l’esperienza del mosto limite, non diremmo con autenticità “Dio tu sei tutto” e ”io sono niente”.