Sabato scorso ho partecipato ad un incontro molto interessante il cui contenuto non è ancora in rete, ma c’è un punto che mi ha colpito in modo deciso: non possiamo limitarci a reagire istintivamente rispetto a quello che accade, come fanno tutti, in una lotta disordinata di tutti contro tutti.
Stamane poi ho letto un articolo, tradotto dallo spagnolo del sito hatzeoir, il cui contenuto era da brivido: Come corrompere un bambino, e farla sembrare una cosa buona.
La prima reazione è stata di incredulità, desolazione, sconcerto, preoccupazione. Poi ho pensato che se mi limitavo a questi legittimi sentimenti di scandalo, non potevo fermarmi ad essi per sentirmi a posto. Mi sono perciò chiesta se in Italia esistesse un modo diverso di affrontare la problematica così delicata e mi sono ricordata immediatamente della bellezza dell’esperienza che mi ha testimoniato la segretaria in Italia dell’iniziativa – che coinvolge ormai diversi paesi – chiamata Teen STAR. Si occupa del’educazione all’affettività e di tanti aspetti relativi all’educazione dei nostri figli e ho saputo che in alcune ASL chiamano degli esperti per le scuole.
Da questo sito che va esaminato con cura da chi ha a cuore l’educazione integrale dei propri figli copio una pagina perché sia più semplice capire di che si tratta:
È possibile educare a vivere la propria sessualità?
“La parola “realtà” sta alla parola “educazione” come la meta sta ad un cammino. La meta è tutto il significato dell’andare umano: essa è non solo nel momento in cui l’impresa si compie e termina, ma anche in ogni passo della strada. Così la realtà determina integralmente il movimento educativo passo passo e ne è il compimento. (…) Qualunque pedagogia che conservi un minimo di lealtà con l’evidenza, deve riconoscere e in qualche modo attendere a questa realtà.”
(Luigi Giussani, Il rischio educativo, Società Editrice Internazionale, Torino 1995, p. 19-20.)
L’esperienza ci insegna che per poter stare di fronte al reale è necessario affermare un significato, riconoscere che mi “parla” di qualcosa, che mi “svela” qualcosa.
Chissà che non sia proprio questo non sperare che la realtà ci dica qualcosa, ciò che fa diventare profondamente scettici gli adulti quando affrontano il “compito” di educare.
Se le stelle, gli alberi, le montagne o il mio stesso corpo non mi suscitano nessuna domanda, perchè dovrebbe interessarmi guardarli fino al punto da conoscerne, le parti, il funzionamento e le dimensioni? Senza un significato la totalità che ci circonda è muta e pertanto nella sfera degli interessi rientra solo il particolare che ci riguarda per una finalità immediata dettata dalle proprie esigenze.
Con queste premesse cosa è importante? Soltanto evitare i “problemi”, essere attenti che utilizzando il reale non ci siano per la persona conseguenze “indesiderate”. È a questo livello che nella nostra società emerge la necessità di definire le “norme comportamentali” che debbono regolare il rapporto con la realtà senza alterarne i benefici. Si parla di educazione ai valori, si avverte la necessità di definire le “norme morali” che devono dettare i comportamenti.
Gli educatori abbandonano il compito di accompagnare i giovani nell’avventura della conoscenza verso la scoperta di ciò che le cose veramente sono, per un percorso relativo che, mentre assicura il piacere personale, deve difendere il “benessere” comunitario. Non avendo la realtà alcun significato, per seguire l’assoluto del principio del piacere, l’orizzonte dell’eticità non è che una costruzione sociale dipendente da fattori assolutamente soggettivi. La libertà del singolo si gioca nello scegliere la “costruzione” più convincente. Con queste premesse culturali, educare vuol dire: facilitare la conoscenza di tutte le “costruzioni” possibili e la “libera” scelta di una di esse.
Oggi assistiamo al fatto che nei comportamenti questa modalità “adulta” e “autonoma” di considerare realtà e conoscenza conduce irrimediabilmente all’impossibilità per i giovani di sviluppare le capacità che lo caratterizzano e lo differenziano da qualsiasi altro essere, ragione e libertà sono circoscritte ad un’unica condizione: “difendere” e “subire” le proprie pulsioni.
Nonostante ciò, “la realtà è testarda”, ogni educatore fa esperienza del “dolore” che accompagna i nostri ragazzi quando devono inevitabilmente subire gli effetti dei loro comportamenti.
L’uomo non “ha un corpo”, “è un corpo” e pertanto qualsiasi azione realizzi è espressione della persona ed incide su di essa. Durante l’esperienza educativa risulta evidente come in molti adolescenti il grido del cuore sia facilmente percettibile, ed in questo grido la loro sessualità in pieno sviluppo ha un grande protagonismo. Senza che ne abbiano coscienza scoprono che gli atti del “corpo” possono avere delle ripercussioni che incidono sull’intero arco dell’esistenza. Le azioni del nostro corpo dunque non sono innocue. Per questo è importante accompagnarli nell’esperienza che c’è un modo di vivere la corporeità che corrisponde all’umano, ed un altro che lo nega, questa corrispondenza non è il risultato di una scelta soggettiva, ci viene data oggettivamente.
Per questa ragione fondamentale nell’educazione affettiva e sessuale dei giovani e degli adolescenti bisogna affrontare due aspetti:
- Introdurli al significato della propria sessualità.
- Dar loro la possibilità di riconoscere oggettivamente quali sono le caratteristiche della sessulità umana.
La libertà, può entrare in azione soltanto davanti ad una proposta, che prenda in considerazione tutte le dimensione della persona, guardando i problemi senza censurarne gli interrogativi e le difficoltà.
Il programma Teen STAR (Sexuality Teaching in the context of Adult Responsibility), è un prezioso strumento elaborato negli USA dalla dr.sa Hanna Klaus ed ora diretto dalla dr.sa Pilar Vigil docente dell’Università Cattolica del Cile.
Uno dei suoi pregi è il rispetto della libertà di educazione, per la sua realizzazione è imprescindibile: che i genitori conoscano i contenuti del programma ed accettino di collaborare, che gli adolescenti scelgano liberamente di riceverlo, gli educatori si impegnino ad una totale riservatezza sui contenuti dei colloqui personali sostenuti.
- Educa i giovani a concepire la propria persona come una totalità affrontando la sessualità da un punto di vista olistico, corregge la tendenza a separare la dimensione affettiva dalle esigenze della corporeità, così come l’idea che le azioni che possono avere una risonanza esterna, siano prive di conseguenze per la dimensione psico-affettiva.
- Considera la sessualità come una caratteristica della persona che pone in relazione tutti gli aspetti del suo essere: ragione, libertà, desideri, ed educa: la ragione, la libertà, l’affettività.
- L’offerta di ragioni non può sostenere un cambio comportamentale, è necessario un adulto li accompagni sostenendo la libertà. Una relazione umana ha bisogno di tempo, il programma dura l’intero anno scolastico: una sessione di 45-60 minuti ogni quindici giorni; accompagnata, come minimo, da un colloquio personale con l’educatore per ogni alunno.
- Il fondamento dell’educazione è la realtà stessa: gli alunni imparano a riconoscere nel loro corpo i segni della fecondità e tutti i segnali che l’accompagnano. La realtà ci parla continuamente, ed è “segno”, fatta per farci comprendere come tutto sia relazionato, tanto da scoprire che la pienezza dell’umano corrisponde alla profondità del proprio desiderio.
Il programma è sufficientemente “aperto” da poter rispondere alle caratteristiche di qualsiasi tipo di gruppo (è stato impartito in centri scolastici frequentati da alunni con un alto livello socio-economico come nei quartieri più poveri, in centri educativi laici e cristiani, in gruppi parrocchiali, in centri universitari, nel carcere femminile…) inoltre è organizzato in modo tale da poter essere proposto in diversi momenti dell’età evolutiva.
Giovannoni Claudine
/ ottobre 1, 2013Personalmente ritengo molto importante che l’argomento della sessualità non sia visto quale tabù dai genitori… va discusso con i propri figli, in modo comprensivo ed educativo. In una famiglia dove regna l’amore ed il rispetto reciproco, non vi sono barriere pedagociche 🙂 papà e mamma possono istruire i propri figli anche sulla sessualità! A volte, se necessario, un buon libro illustrato che tratta dell’argomento (magari fin dalla prima infanzia), può essere un buon strumento. Il problema è che troppo spesso i genitori non si prendono il tempo per queste cose (le loro priorità sono sempre egoistiche), e quindi facilmente delegano la responsabilità alla scuola… Ma in fondo ogni piccolo momento può essere d’aiuto: mi ricordo con mia figlia, in giardino, ad osservare le api sui fiori… da quell’occasione era nata una bella discussione educativa! Serenità :-)claudine
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annavercors
/ ottobre 1, 2013Tanta serenità e gioia anche a te! un bacione!
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formedartecreativeproject
/ ottobre 4, 2013Hai un blog veramente interessante e denso!! 🙂 complimenti!! 🙂
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annavercors
/ ottobre 4, 2013grazie mille!
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