Mi hanno pubblicato questa riflessione sul settimanale diocesano, Il portico:
“Entusiastiche sono le lodi per l’enciclica a quattro mani, Lumen Fidei, l
a cui sintesi è davvero racchiusa nel titolo e nel passaggio in cui ci ricorda che non si accende una lampada per metterla sotto il moggio. Ma la lettura, oltre che affascinante per la chiarezza espositiva e i contenuti antichi ma sempre nuovi, presenta anche dei passaggi che hanno bisogno di riflessione per incominciare a capirli nella loro profonda verità. Uno di questi è appunto il n. 13. Esaminerò alcune affermazioni che mi hanno costretto ad approfondirne la comprensione.
La storia di Israele ci mostra ancora la tentazione dell’incredulità in cui il popolo più volte è caduto. L’opposto della fede appare qui come idolatria.
La storia di Israele ci viene offerta come paradigma, paradigma della nostra storia, la storia del nostro popolo, la storia della nostra vita personale. Un popolo che Dio ha scelto; il nostro cuore, il mio cuore che Dio ha chiamato per nome dimentica spesso la grandezza cui è stato chiamato e cade nell’errore sostituendo alla fiducia nel Dio che è fedele per sempre con gli idoli che ciascuno è in grado di immaginarsi e costruirsi.
Mentre Mosè parla con Dio sul Sinai, il popolo non sopporta il mistero del volto divino nascosto, non sopporta il tempo dell’attesa. La fede per sua natura chiede di rinunciare al possesso immediato che la visione sembra offrire, è un invito ad aprirsi verso la fonte della luce, rispettando il mistero proprio di un Volto che intende rivelarsi in modo personale e a tempo opportuno
Penso alla Chiesa orante che invoca e contempla il Volto di Dio nella chiarezza oscura della fede e a chi invece non ha la pazienza di continuare a supplicare e si ferma, senza insistere, nel mendicare un Volto che si farà riconoscere secondo i Suoi piani, secondo le Sue vie che non sono le nostre vie. Il problema nostro è che siamo impazienti e che magari ci siamo dimenticati questa verità elementare; che Dio ha un Suo progetto buono per ciascuno e a noi non resta, se vogliamo essere felici, che spiare attraverso gli avvenimenti quello che è la sua volontà, cui rispondere con prontezza e docilità, rialzandoci subito in caso di inevitabile caduta. Al momento opportuno Lui si manifesterà in modo persuasivo e affettuoso.
Martin Buber citava questa definizione dell’idolatria offerta dal rabbino di Kock: vi è idolatria «quando un volto si rivolge riverente a un volto che non è un volto». Invece della fede in Dio si preferisce adorare l’idolo, il cui volto si può fissare, la cui origine è nota perché fatto da noi. Davanti all’idolo non si rischia la possibilità di una chiamata che faccia uscire dalle proprie sicurezze, perché gli idoli «hanno bocca e non parlano» (Sal 115,5).
Ciascuno di noi ha bisogno di un dio cui tributare la propria devozione “Per il fatto stesso che vive, uno deve affermare qualcosa per cui vale la pena di vivere” diceva un teologo. Per cui se non riusciamo a de-finire con contorni ben precisi il Volto del dio cui consegnare la nostra fiducia, decidiamo di crearci o scegliere il nostro idolo da adorare, cui sacrificare tutto di noi: il potere, i soldi,la carriera, una persona. Tutti idoli che sicuramente non ci chiederanno di seguire una chiamata che ci faccia uscire dalle nostre sicurezze perché ce li siamo costruiti noi e, sconsolatamente, se non hanno bocca per parlare all’esigenza di totalità che è il nostro cuore, non sapranno nemmeno risponderci secondo le nostre infinite aspettative.
Capiamo allora che l’idolo è un pretesto per porre se stessi al centro della realtà, nell’adorazione dell’opera delle proprie mani.
Diventa facile capire allora che l’idolo è il pretesto più subdolo, perché spesso è quasi inconsapevole del grave errore di prospettiva, per porre se stessi al centro della realtà, della nostra personale realtà che decide di rendere il tributo della totale adorazione a ciò che noi stessi abbiamo immaginato e costruito. E ci ritroveremo ad adorare ciò che Papa Francesco definiva, nell’omelia tenuta a Lampedusa, semplici “bolle di sapone”.
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