
“sacrificare la vita per l’opera di un Altro fa diventare carica di valore la vita”
Da “Dal temperamento un metodo” di Luigi Giussani:
(…)
Don Gius, anch ‘io insegno alle medie e volevo chiedere: che cosa sottolineerebbe di più nell’esperienza cristiana di ragazzini dagli
undici ai quattordici anni?
Sottolineerei di più il fatto dell’affezione: un’affezione tra tutti loro – tra tutti loro -,
che può venire soltanto dal seguire una certa persona. Se venite con me, vi volete bene tra voi e volete bene a voi stessi, e avete affezione a voi stessi e alle cose. Vale a dire, quanto più son piccoli tanto più l’obbedienza risulta la linea della virtù: perché l’obbedienza è seguire qualcosa d’altro che rivela e attua noi stessi. Infatti, sacrificare la vita per l’opera di un Altro fa diventare carica di valore la vita. Se non sacrificassi la vita per l’opera di un Altro, la tua vita sarebbe comoda, ma senza valore, cioè perderesti la vita.

Però la cosa più importante è questa: è chiaro che la verità non è «noi stessi».
Noi non siamo la verità, perciò la verità è qualcosa d’altro.
Se è qualcosa d’altro, bisogna stender la mano e mendicarlo: è da domandare.
La prova che noi siamo cattivi non è se sbagliamo, se siamo incoerenti: è il fatto che non chiediamo.
Essendo una cosa così semplice, non chiediamo. Ci ribelliamo al chiedere, resistiamo al chiedere, mentre è la cosa più semplice.
Comunque, il capitolo undicesimo di Luca dal versetto 1 al versetto 13 e poi Luca 18, 1-8 sono i due brani che più risultano consolanti per l’uomo in cammino.
Con quella frase finale terribile: «II Figlio dell’uomo quando tornerà troverà la fede sulla terra?».
«Troverà la fede sulla terra?» Troverà gente che domanda?
Noi siamo in trenta, perché siamo già tre scuole, e un’altra insegnante ci ha chiesto se può venire coi suoi due o tre ragazzi a fare il raggio con noi. È giusto dirle di partecipare oppure, per il numero, rischia di diventare meno intenso il lavoro per le singole scuole ?
Lasciala venir lì, sono due o tre!
Però non sarebbe giusto far così, perché è lei che deve fare con quei due o tre. Se vuol bene a loro, non li può prendere sotto braccio? Non può far così? Allo stesso modo può parlar loro del Signore; cerchino insieme il Signore. Perché non lo può fare? Perché deve andare da altri? È artificioso, però se insiste…
Infatti l’anno scorso, don Giorgio aveva suggerito ogni tanto di fare da soli, perché altrimenti i ragazzi, trovandosi in tanti, rischiano di sentirsi meno responsabili nel loro luogo.
Io non direi «ogni tanto»: sempre! La natura della Scuola di Comunità è una compagnia di persone che vivono nello stesso luogo cercando il Signore. Se son tre, sian tre; se son due, sian due. Ma allora un uomo e una donna che si sposano sono fuori gioco?
Si sposano per far così; gli è che nessuno fa così, ma, se si sposano, dovrebbero sposarsi per far così!
A Medicina hanno deciso di dividere le Scuole di Comunità in quattro gruppi a seconda dei poli. Io, come posto di lavoro, sono
vicinissima al Policlinico e quindi pensavo che fosse meglio per me andare lì, anche perché quelli che vanno al Policlinico sono proprio quelli che sono al quarto o quinto anno…
Con chi hai rapporti tu?
Con questi qui.
Eh, vai con loro! L’ambiente per te qual è? Quello lì. Sta’ lì!
Pubblicato da annavercors in Maggio 9, 2013
https://annavercors.wordpress.com/2013/05/09/sacrificare-la-vita-per-lopera-di-un-altro-fa-diventare-carica-di-valore-la-vita/
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