«L’unica strada è l’attesa»
di Davide Ori
12/04/2013 – In occasione dell’Anno della fede il Centro Pastorale dell’Ateneo ha organizzato un convegno. «È ancora tempo di credere?». Da Mario Melazzini a Fabrice Hadjadj, tutti testimoni del «fascino per una Persona che ci “accompagna” sempre»
Fabrice Hadjadj.
«È ancora tempo di credere?». Questa è la domanda che ha accompagnato il convegno organizzato dal Centro Pastorale dell’Università Cattolica di Milano, il 10 aprile, in occasione dell’Anno della fede.
Una giornata che si è sviluppata su «due binari: gli approfondimenti teologici e quelli esperienziali», come ha ricordato monsignor Claudio Giuliodori, il nuovo assistente ecclesiastico generale dell’Ateneo.
Dopo avere introdotto al tema del convegno, Agnese Varsalona, docente di Questioni di Teologia morale e pratica, ha fatto riecheggiare nell’Aula Magna le parole di Hans Urs Von Balthasar: «La prima cosa che deve saltare agli occhi di chi non è cristiano è il fatto che la fede cristiana, palesemente, osa molto, troppo. È troppo bello per essere vero: il mistero dell’essere svelato come amore assoluto, che si abbassa a lavare i piedi».
Quindi, sono partiti i lavori. E già nei saluti del rettore Franco Anelli e del vescovo Giuliodori è stata evidente la necessità di rispondere alla domanda iniziale e, in particolare, l’importanza dell’Università Cattolica nel «custodire e trasmettere la fede», come ha ricordato Giuliodori. «La fede non è un evento del passato, una vaga speranza, ma la persona di Gesù Cristo presente nel suo corpo che è la Chiesa».
La parola è passata agli studenti, intervistati in un video intitolato: «La fede oggi in Università». L’impaccio di fronte alle domande ha colpito tutti i presenti, tanto quanto il successivo tentativo di rispondere, partendo da episodi di vita quotidiana.
Il primo intervento del convegno è stato affidato a Luciano Manicardi, della Comunità di Bose, che ha insistito molto sul tema della fiducia. «Credere per vivere», parte così la sua relazione, indicando come elemento fondante del rapporto tra l’uomo e Dio la fiducia, immagine dell’unione tra uomo e donna. Tanto che «ogni pratica umana ha bisogno di questo rapporto di affidamento».
A seguire, la prima testimonianza video, con Mario Melazzini, medico malato di Sla, oggi costretto sulla sedia a rotelle.«Quando mi hanno diagnosticato la malattia mi sono ritrovato preso da un’angoscia esistenziale. Vedevo solo indietro e mai avanti», racconta Melazzini. «Ero arrabbiato con Nostro Signore, non capivo perché fosse successo proprio a me, che pensavo di essermi messo a disposizione degli altri». Poi la sua coscienza ha iniziato a cambiare, con il fidarsi di ciò che stava succedendo:«Ho capito che il mio dolore era parte della mia vita e la fede mi ha dato la forza per il mio personale percorso, mi ha sostenuto, mi supporta sempre».
A chiudere la sessione del mattino è toccato a Mario Antonelli, della Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale, sul tema della fede di Gesù, a partire dalla lettera di san Paolo agli Ebrei: «Imparò l’obbedienza da ciò che patì» (Eb 5,8b). Ed è proprio l’obbedienza, secondo Antonelli, ciò che più ha caratterizzato la fede di Cristo: «Noi dobbiamo guardare a Gesù, come primo tra i credenti nel Padre. Primo a obbedire al Suo volere».
L’Aula Magna si è ripopolata dopo il pranzo, mentre sul palco saliva il filosofo e scrittore Fabrice Hadjadj, unico relatore straniero. La sua lezione è partita dalla frase di Dostoevskij: «Un uomo colto, un europeo dei nostri giorni può credere, credere proprio alla divinità del Figlio di Dio, Gesù Cristo?». Il filosofo è partito osservando la “troppo credulità” della domanda, «forse demoniaca», che è posta da un personaggio malvagio e solo nei quaderni preparatori a I demoni, che non figurano nell’opera definitiva. «È una domanda cattiva, non perché metta in discussione la fede, ma perché suppone una fede precedente, la fede nel positivismo, nell’Europa, nella civiltà: una fede mondana». È un idolo, ha osservato: qualcosa diventa il principio della vita. «È difficile essere un ateo perfetto, oggi. Alla peggio si divinizza se stessi. L’ateismo perfetto ha solo due sbocchi: il suicidio e la rivelazione». La prima strada, però, è avere l’ultima parola. Ma il vero ateo non può volere questo, non può volere “se stesso” come ultimo gesto, «sa che non può essere così: sarebbe riporre se stesso come nuovo valore. Dunque l’unica posizione possibile è quella di attendere che il trascendente si riveli a lui». Anche l’ateo, per altro, si definisce in base a Dio, in base ad un rapporto: è “senza Dio”. L’ateo per altro parla di Dio come di un concetto chiaro, definito al 100%. «Massiccio». Ne parla come ne parla anche il fondamentalista, come qualcosa senza mistero. «Dio diventa un Dio tanto chiaro quanto opprimente, che va contro la libertà e la ragione». La visione atea mostra una concorrenza tra Dio e le creature: il creatore è distante.
Dopo Hadjadj è Carlo Castagna a prendere la parola in un video. E il suo «più grande dolore» dell’aver perso nella strage di Erba la moglie, la figlia e il nipote. Il suo racconto mostra dove può arrivare la fede, fino al perdono degli assassini. «Non ci credevo quando mi hanno detto che avevano trovato i cadaveri dei miei cari», racconta: «Dopo è successo il miracolo, pur vivendo una grande solitudine, ho chiesto a Dio la forza di accettare il Suo disegno».
A fine giornata è chiaro come la domanda di apertura sia stata osservata e affrontata da diverse angolature. Altrettanto evidente è come ciascuna di esse fosse carica di attesa e di fascino per una Persona che è venuta ad “accompagnare” ciascuno di noi. Come dice Papa Francesco: «Quante volte nella nostra vita le speranze svaniscono, quante volte le attese che portiamo nel cuore non si realizzano! La speranza di noi cristiani è forte, sicura, solida in questa terra, dove Dio ci ha chiamati a camminare, ed è aperta all’eternità, perché fondata su Dio, che è sempre fedele».