Si può esser buoni ma non veri

Si può esser buoni ma non veri.

E’ una frase che mi ha colpito domenica scorsa e sulla quale anche ieri discutevo con amici.

Ma cosa vuol dire?

Propongo l’esempio più calzante che ho sentito: Roberto incontra un povero per strada e gli dà cinque euro.  Chi guarda pensa che Roberto sia davvero “buono” perché ha visto solo il gesto esteriore.

In realtà Roberto in quel momento  aveva fretta di togliersi dai piedi il poverello.

Ecco, l’esser “buoni” non può coincidere con le azioni apparentemente buone che ci capita di fare.

Mentre se uno è “vero”, le cose cambiano.

Ma anche qui cosa significa esser veri?

Non è che uno è vero perché lascia libero spazio alla sua istintività per cui non guarda niente e nessuno e fa quel che il ghiribizzo gli suggerisce.

L’esser vero coincide invece con l’avere coscienza di quello che siamo, cioè Creature di un Dio buono che vuole il bene di tutti, proprio di tutti.

Coincide con l’avere coscienza che da questo Dio buono dipendiamo e perciò non ci è lecito considerarci superiori o migliori degli altri, ma tutti ugualmente bisognosi dell’Infinito per cui siamo stati fatti e quindi pazienti gli uni verso gli altri.

Non vi è altro modo di essere sè stessi fino in fondo.

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