“Come mi accorgo che non sono fermo a metà strada? Perché rinasco!”

Qualche giorno fa ho assistito ad una interessantissima lezione “La vita come vocazione” e mi ha colpito il concetto per cui le circostanze sono un elemento irrinunciabile per la nostra crescita e per la verifica della nostra maturità.

Copio due passaggi:

 Rileggiamo che cosa diceva davanti a una sfida ancora più drammatica di adesso, quando intorno al sessantotto il movimento fu decimato: «Nella vita di chi Egli chiama, Dio non permette che accada qualche cosa, se non per la maturità, se non per una maturazione di coloro che Egli ha chiamati. Questo vale innanzitutto per la vita della persona, ma ultimamente e più profondamente per la vita della sua Chiesa, perciò, analogamente, per la vita di ogni comunità […]. Dio non permette mai che accada qualche cosa, se non per una nostra maturità, per una nostra maturazione. Anzi [ecco il test che Giussani propone per verificare se stiamo diventando più maturi], è proprio dalla capacità che ognuno di noi e che ogni realtà ecclesiale ha (famiglia, comunità, parrocchia, Chiesa in genere) di valorizzare come strada maturante ciò che appare come obiezione, persecuzione, o comunque come difficoltà, è dalla capacità di rendere strumento e momento di maturazione questo, che si dimostra la verità della fede» (L. Giussani, «La lunga marcia della maturità», Tracce, n. 3/2008, p. 57).
In che cosa consiste, dunque, la nostra maturazione? È la maturazione della nostra autocoscienza, è la generazione di un soggetto in grado di avere consistenza in mezzo a tutte le vicende della vita. Perché le circostanze introducono una lotta: «Allora, è la lotta che ci tiene svegli, e questa lotta è la trama normale della vita: ci tiene svegli, cioè ci matura la consapevolezza di ciò che è la nostra consistenza o la nostra dignità, che è un Altro» (L. Giussani, Certi di alcune grandi cose. 1979-1981, op. cit., p. 389). Le circostanze, perciò, ci sono date perché maturi in noi la consapevolezza di ciò che è la nostra consistenza, affinché noi prendiamo veramente coscienza che la nostra consistenza è un Altro.

(…)

Allora capite perché le circostanze sono parte essenziale della vocazione: perché ci sfidano, perché se a volte non fossi nel buio più buio, potrei vivere senza accorgermi del Mistero, senza il bisogno di rendermi veramente cosciente di che cosa sono e del fatto che Lui c’è; e così rinascere. «Autocoscienza è la capacità di riflettere su di sé fino in fondo [che non vuol dire rimanere in una introspezione psicologica]. Ma se uno riflette su se stesso fino in fondo in modo totalmente cosciente, incontra un Altro, perché dicendo “io” in modo totalmente autocosciente, m’accorgo che io non mi faccio da me» (Raduno di sacerdoti, 9-16 settembre 1967, La Verna (Ar), Archivio Cl). E quando mi rendo conto che non mi sono fermato a metà strada, che sono arrivato a questo Altro? Per un ragionamento? Per un sentimento? Per un autoconvincimento? Perché rinasco!

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