«Quando […] la morsa di una società avversa si stringe attorno a noi fino a minacciare la vivacità di una nostra espressione e quando una egemonia culturale e sociale tende a penetrare il cuore, aizzando le già naturali incertezze, allora è venuto il tempo della persona»
” Quante volte arriviamo al buio e ci agitiamo cercando una conferma al di fuori dell’esperienza per aggrapparci a qualcosa? Per questo dico: oggi chi sarebbe in grado di comporre un canto così*? Immaginate, invece, se ogni volta che uno è nel buio, facesse quello che il canto dice: guardare il fondo, senza rimanere a un uso ridotto della ragione, fin quando riconosce il Tu che è al fondo di ogni buio. Che autocoscienza di sé acquisterebbe ogni volta! Che capacità di vivere nella verità di sé, non determinato costantemente dal buio, non dovendo costantemente fuggire dal buio, perché ha incontrato lì, in fondo al buio, in fondo al reale, in fondo a se stesso, che cosa lo costituisce! E qual è il segno? Non che ho altri pensieri o altri sentimenti. No! Lo riconosco da un fatto reale: che io rinasco”.
* Testo della canzone
Mio Dio, mi guardo ed ecco scopro
che non ho volto;
guardo il mio fondo
e vedo il buio senza fine.
Solo quando mi accorgo che tu sei,
come un eco risento la mia voce
e rinasco come il tempo dal ricordo.
Perché tremi mio cuore? Tu non sei solo,
tu non sei solo;
amar non sai e sei amato, e sei amato;
farti non sai e pur sei fatto, e pur sei fatto.
Come le stelle su nei cieli,
nell’Essere tu fammi camminare,
fammi crescere e mutare, come la luce
che cresci e muti nei giorni e nelle notti.
L’anima mia fai come neve che si colora
come le tenere tue cime, al sole del tuo amor.