Il movimento è il dilatarsi di un avvenimento, dell’avvenimento di Cristo. Ma come si dilata tale avvenimento? Qual è, cioè, il fenomeno iniziale, originale, per cui della gente rimane colpita e attratta e si coagula? È una catechesi – quello che noi chiamiamo “Scuola di comunità” -? No, ogni catechesi viene dopo, è strumento di sviluppo di qualcosa che viene prima.
La modalità con cui il movimento – l’avvenimento cristiano – diventa presente è l’imbattersi in una diversità umana, in una realtà umana diversa, che ci colpisce e ci attrae perché – sotterraneamente, confusamente, oppure chiaramente – corrisponde a un’attesa costitutiva del nostro essere, alle esigenze originali del cuore umano.
L’avvenimento di Cristo diventa presente “ora” in un fenomeno di umanità diversa: un uomo vi si imbatte e vi sorprende un presentimento nuovo di vita, qualcosa che aumenta la sua possibilità di certezza, di positività, di speranza e di utilità nel vivere e lo muove a seguire.
Gesù Cristo, quell’uomo di duemila anni fa, si cela, diventa presente, sotto la tenda, sotto l’aspetto di una umanità diversa. L’incontro, l’impatto, è con una umanità diversa, che ci colpisce perché corrisponde alle esigenze strutturali del cuore più di qualsiasi modalità del nostro pensiero o della nostra fantasia: non ce lo aspettavamo, non ce lo saremmo mai sognato, era impossibile, non è reperibile altrove. La diversità umana in cui Cristo diventa presente sta propriamente nella maggior corrispondenza, nell’impensabile e impensata maggiore corrispondenza di questa umanità in cui ci imbattiamo alle esigenze del cuore – alle esigenze della ragione -.
Quest’imbattersi della persona in una diversità umana è qualcosa di semplicissimo, di assolutamente elementare, che viene prima di tutto, di ogni catechesi, riflessione e sviluppo: è qualcosa che non ha bisogno di essere spiegato, ma solo di essere visto, intercettato, che suscita uno stupore, desta una emozione, costituisce un richiamo, muove a seguire, in forza della sua corrispondenza all’attesa strutturale del cuore. «Poiché in realtà – come dice il cardinal Ratzinger – noi possiamo riconoscere solo ciò per cui si dà in noi una corrispondenza» (Il Sabato, 30.1.93). È nella corrispondenza il criterio del vero.
L’imbattersi in una presenza di umanità diversa viene prima non solo all’inizio, ma in ogni momento che segue l’inizio: un anno o vent’anni dopo. Il fenomeno iniziale – l’impatto con una diversità umana, lo stupore che ne nasce – è destinato a essere il fenomeno iniziale e originale di ogni momento dello sviluppo. Perché non vi è alcuno sviluppo se quell’impatto iniziale non si ripete, se l’avvenimento non resta cioè contemporane0.
Come, nell’impatto che sempre si rinnova con una presenza di umanità diversa, la sorpresa, la speranza e il presentimento che ne nascono e muovono a seguire, possono essere educati, “tratti fuori”? Lo strumento principale di questa educazione è ciò che noi chiamiamo “Scuola di comunità”; ed è principale perché sistematico e coerente, e perciò esplicativo e unificante. La “Scuola di comunità” è lo strumento di sviluppo – come coscienza, come affezione e come istigazione mobilitante nell’uso dei rapporti – di quel “qualcosa che viene prima”, dell’esperienza di incontro con una realtà umana diversa.
Nello svolgimento del lavoro implicato dalla “Scuola di comunità”, l’aspetto essenziale è allora il rendersi “ragione” delle parole che si usano. E “ragione” significa: esperienza della corrispondenza tra la realtà in cui ci si impatta e le esigenze strutturali del cuore.
Ma allora l’aspetto innanzitutto importante della “Scuola di comunità” è qualcuno che “insegni”: qualcuno – o alcuni – in cui l’impatto iniziale si rinnovi e si dilati, offrendosi come spunto per il ripetersi in altri della prima sorpresa. Occorre che chi guida la “Scuola di comunità” comunichi una esperienza nella quale si rinnovi lo stupore iniziale e non invece svolga un ruolo o un “compito”. Non può essere comunicazione di un’esperienza quella che parte da una coscienza di se stessi come ruolo, che muove da una visione di sé come padronanza e superiorità, con la pretesa di insegnare. Perché chi insegna è soltanto lo Spirito di Dio: è lo Spirito che dà il primo sussulto e che lo rinnova.
Chi, guidando la “Scuola di comunità”, comunica un’esperienza nella quale riaccade la sorpresa iniziale, svolge questa comunicazione dando ragione delle parole che vengono usate. Dar ragione delle parole che si usano vuol dire infatti comunicare l’esperienza della corrispondenza tra l’avvenimento di una Presenza e quello che il cuore originalmente attende, con la luce e il calore che quelle parole proiettano e offrono. Così la ragione data di ogni parola fa, come dice san Paolo, «passare di luce in luce», introduce alla scoperta sempre più chiara del vero, perché ogni parola usata chiarisce una risposta a un bisogno del cuore che è alla ricerca del proprio destino.
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/ settembre 29, 2012Rifacendoci alla frase iniziale di Saint-Exupèry, vorremmo far venire a tutti la “nostalgia per il mare aperto ed infinito” che per noi significa dare importanza al modo in cui si sta insieme: non solo una scuola, ma una comunità che ha come suo centro e come suo nutrimento l’amore di Gesù Cristo.
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