Perciò una Scuola di comunità è una Fraternità «mancata», cioè non è ancora Fraternità perché è più alla superficie del nostro impegno: è un esercizio, più che una vita; dovrebbe tendere – come abbiamo detto presentando la Scuola di comunità – a diventare la vita di tutta la gente che è lì: allora sarebbe Fraternità.
Insomma, c’è un grande principio per imparare ad applicare una legge, una legge morale, un ideale, l’ideale dell’amore all’altro: per imparare a vivere questo ideale non si può saltare la necessità di quello che il Vangelo chiama la prossimità. La prossimità è ciò che il Signore ti mette vicino. Se ti infischi di trattare con amore chi Iddio ti mette vicino, anche se decidi – per amore dei venezuelani, poniamo – d’andare a parlare ai poveri del Venezuela, anche se vai in Venezuela per i più poveri del Venezuela, non è vero che tu applichi la carità: applichi il tuo concetto di socialità, di umanitarismo, ma non è carità, perché la carità è amare l’altro per il mistero del suo rapporto con Dio.
Se Dio mi mette uno vicino, devo trattare lui: questa è la regola della prossimità. Soltanto che chi ci è più vicino è anche più difficile che sia guardato con questo occhio, anche operativamente. Perché? O perché ci sono fattori di attrattiva umana tali che soverchiano il richiamo all’ideale (l’affettività o l’interesse, per esempio) oppure, vivendo vicino, ci sono tali e tanti esempi dei limiti dell’altro che diventa veramente difficile sopportarlo. Ecco allora il vantaggio di una vicinanza creata non perché c’è attrattiva, non perché c’è un interesse: una vicinanza di persone che si accetta proprio come una scuola, una scuola per amare l’altro, per imparare ad amare l’altro, per imparare a vivere una compagnia che ci faccia camminare verso il destino, così che, imparando lì, si torni anche là dove c’è l’attrattiva naturale prevalente (come la famiglia!) o l’antipatia, la seccatura permanente (come la famiglia!) e si impari a guardare all’altro in un modo diverso, attraversando la simpatia e attraversando l’antipatia. Così che, poi, l’esito è che il primo luogo dove uno veramente vive questa carità è la sua famiglia, è sua moglie o suo marito.
Ma ci vuole una certa strada. La regola è proprio la compagnia di persone che si mettono insieme con questo unico scopo: in tal senso, potrebbero essere persone che non si sono mai viste, anzi, se è chiaro questo scopo, l’estraneità iniziale diventa facilitante il lavoro.
Invece la conoscenza già avuta, la simpatia che già c’è, l’amicizia che è in voga, facilita il mettersi insieme, anche sinceramente, per questo scopo, ma dal punto di vista operativo ha anche gli svantaggi che ho citato prima per la famiglia. Perciò la scelta della Fraternità è l’analogo perfetto di uno che va in convento. Perché uno va in convento? Non per la tonaca o perché è più tranquillo, perché gli piace lo studio, perché gli piace la vita di pietà, perché gli piace pregare, perché gli piace sentire cantare, perché è a posto anche per la vecchiaia. No, non è per quello. Uno va in convento, va in un monastero, perché vuole essere in una compagnia, sceglie una compagnia che lo aiuti ad andare a fondo nell’amore a Cristo, nel vivere l’appartenenza a Cristo e nel testimoniare al mondo. Va per quello, altrimenti sbaglia. Può sbagliare. Può andare sbagliando e può purificarsi stando.
giovanni
/ settembre 22, 2012Ciao Maria Vittoria
grazie per questa bella segnalazione, molto utile e chiara.
a presto.
giovanni
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/ settembre 26, 20122. Scopo e natura del gruppo di Fraternità Il gruppo di Fraternità è un luogo di amicizia cristiana, ossia di richiamo e di memoria alla propria conversione; un luogo in cui sia più facile e più stabile la volontà di vivere per Cristo. È indubbiamente più facile essere corretti che correggersi, per questo è utile un luogo di richiamo. Il gruppo di Fratemità, come figura della Fraternità nel suo insieme, «è la coscienza esplicitata d’essere in cammino, d’avere un destino, e quindi un aiuto ad approfondire la coscienza, un aiuto all’approfondimento della conoscenza e della coscienza» (L. Giussani, L’opera del movimen¬to. La Fraternità di Comunione e Liberazione, San Paolo, Cinisello Balsamo 2002, p. 105). È «una vicinanza di persone che si accetta pro¬prio come una scuola, una scuola […] per imparare ad amare l’altro»(ibidem, p. 168). «Deve diventare un luogo che mobilita, che ci cambia» (ibidem, p. 39). Le fraternità aiutano nel perseguimento della santità personale e nella vocazione che si vive: «L’esigenza […] di vivere la fede e poi impegnar¬si con essa» (L. Giussani, «Lettera ai nuovi iscritti alla Fraternità», in ibidem, p. 249), così da contribuire all’opera di salvezza che Cristo ha introdotto nel mondo con la sua Chiesa.
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