Giussani: “non esistono “bracci politici” fra noi, ma persone educate alla responsabilità in famiglia, sul lavoro e verso gli altri”

Ho ricevuto il testo di un’intervista rilasciata da don Giussani a Panorama nel settembre del 2000 e la metto in comune perché mi pare ancora attuale:

Lei ha appena scritto un saggio su potere e opere. Quale è oggi, o quale dovrebbe essere, il rapporto tra potere e Chiesa, tra affari e fede?
GIUSSANI: Direi che deve essere quello che si stabilisce tra due persone: il dialogo. Ma per dialogare occorre che si persegua sinceramente un unico scopo, senza tacere un aiuto vicendevole: la Chiesa cosciente che attraverso tante situazioni contingenti il Mistero di Cristo vuole qualche cosa, e lo Stato operando con principi d’umanità. A me pare che l’unica condizione perché questo avvenga è che Chiesa e Stato siano guidati da persone che prima dell’attuazione dei loro disegni sentano l’umanità.
E ciò accade?
GIUSSANI: Qui avrei la tentazione di dire, di affermare che è difficile trovare persone autorevoli che misurino i propri progetti a partire da una mortificazione dei loro vantaggi personali, anche di pensiero.
Il cosiddetto “braccio politico” di Cl è passato dalla Dc al Psi e ora a Forza Italia. Non ha mai avuto paura di una strumentalizzazione politica del mix fede-politica?
GIUSSANI: A parte il fatto che non esistono “bracci politici” fra noi, ma persone educate alla responsabilità in famiglia, sul lavoro e verso gli altri (società, Paese, Stato e mondo). Comunque, in tanti anni abbiamo cercato di snellire le cose, mirando al cuore e alla testa dei giovani (e non più giovani) con la nostra proposta umana.
Evidentemente, una strumentalizzazione di una realtà che vive nella società può essere sempre ricercata dall’esterno proprio quanto più si tratti di una realtà viva, bella e utile. Ma un movimento come tale, anche politico, non nasce se non in ciò che lo anima.
Cioè?
GIUSSANI: Per noi il rapporto con la politica nasce da una preoccupazione educativa al destino di ogni persona.
Cl fu tra le prime organizzazioni, nel ’92, a mettere in guardia da Mani pulite, una operazione che fu subito definita una finta rivoluzione, un tradimento del popolo. Sono parole ancora valide?
GIUSSANI: Per rispondere a questa domanda bisogna saper leggere ciò che è accaduto con attenzione, sincerità e con assenza di pregiudizio.
Qui si vede la differenza di concezione dell’uomo tra la Chiesa e l’educazione meramente naturalistica. Se l’uomo è soggetto responsabile delle sue azioni, ogni azione non può dimenticare l’estrema debolezza di ciò che la fa nascere. Nel salmo De profundis si dice: «Signore, se fissi lo sguardo sulle nostre mancanze, chi potrà mai resistere?».
Tangentopoli fu solo una debolezza umana?
GIUSSANI: La debolezza dell’uomo è riconoscibile come cosa che sta al limite estremo del nulla. Questo rende eminentemente vera la scena che, nel momento più acuto del IV atto di Brand, il dramma di Ibsen, il protagonista grida: «Per raggiungere la salvezza non basta tutta la volontà umana?». Chi è quell’uomo che non sente la stolidità di frasi come quelle che s’udirono nel ’92 e ancora dopo gridate (o anche scritte su giornali) di taluni gestori di Mani pulite, che si ritenevano tra le persone più perfette della società? È per questo che allora dicemmo che un’azione che per punire colpevoli distrugge un popolo, come coscienza unitaria e come raggiunto benessere, ha almeno nella sua modalità di attuazione qualcosa di ingiusto. I suggeritori di Mani pulite forse potrebbero appartenere a una società di uomini che pretendono fissare loro il sommo bene per la società, identificato normalmente col favore dato a un assetto sociale in cui il bene salvaguardato si identificasse con quello che vogliono essi stessi.
Il bilancio di quella stagione?
GIUSSANI: Potrei semplificarlo con l’immagine di una crepa apertasi nel fondamento della nostra società, un imbroglio nel cui polverone non si può certo riconoscere il mattino di un giorno più benevolo. Anche se così ci è stato lasciato in eredità il richiamo ad una onestà “sociale”; e per questo c’è un grazie da dire anche alla fatica da loro sostenuta

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