Tregua tra i partiti: “nel vuoto normativo può succedere di tutto”

Da La Stampa una riflessione di Michele Brambilla

Gli scandali e la tregua fra i partiti

Il politico che è andato a mangiarsi un piatto di spaghetti al caviale da 180 euro e ha pagato con la carta di credito del partito (cioè con i soldi dei rimborsi elettorali, cioè con denaro pubblico) diventerà forse il simbolo della nuova, ennesima stagione di decadenza che stiamo vivendo.

Da Nord a Sud, dal Pdl al Pd alla Lega, sembra non salvarsi nessuno.

In Lombardia – governata dal centrodestra sono sotto inchiesta quattro componenti su cinque dell’ufficio di presidenza della Regione e diciotto consiglieri; l’ex Margherita è sconvolta dalla gestione delle casse del partito; a Bari sono stati arrestati imprenditori legati al Pd per una storia di tangenti in Comune. Insomma. I sette milioni di lire avvolti nella carta di giornale che misero fine alle fortune politiche di Mario Chiesa – e inizio a quelle di Di Pietro – sembrano un peccato veniale al confronto dei milioni di euro che girano oggi. Anche le discoteche di De Michelis fanno quasi tenerezza, quando leggiamo dei 218.000 euro sottratti nel solo 2011 dalle casse del partito per finanziare viaggi e vacanze del tesoriere e della sua gentile signora.

Eppure sta succedendo qualcosa di strano e di nuovo. Nessun politico cavalca le disgrazie dei rivali. La sinistra sfrutta forse l’imbarazzo in cui si è venuto a trovare Formigoni? Non più di tanto: qualche mozione di sfiducia a livello locale. E la destra maramaldeggia su Emiliano, sindaco di Bari, o sulla storia di Luigi Lusi? Poche battute, lievi stoccatine. Anche la prescrizione a Berlusconi sul caso Mills e l’annullamento della condanna a Dell’Utri non hanno certamente indotto Bersani e i suoi a stracciarsi le vesti.

A quanto pare c’è una sorta di patto di non aggressione che fa un certo effetto, se ci si ricorda che solo fino a cinque-sei mesi fa ai partiti per scannarsi bastava molto meno. Come mai? Che cosa è successo?

La prima risposta che viene in mente è anche la più semplicistica: tutti tacciono perché tutti sanno di avere qualche scheletro nell’armadio. C’è del vero, ma è una risposta un po’ grossolana.

Cercando di andare un po’ più in profondità, ci sono altre riflessioni da fare. Una di queste riguarda il finanziamento dei partiti. Perché poi tutto ruota intorno a quello: è vero che c’è pure chi si fa gli spaghetti al caviale e magari la villa, ma il nodo centrale è il costo della politica. Le tangenti si prendono anche e soprattutto per pagarsi le campagne elettorali; e il denaro pubblico che i tesorieri gestiscono viene in gran parte, appunto, dai cosiddetti rimborsi elettorali.

Ora, a vent’anni da Mani Pulite e dall’autodenuncia di Craxi in Parlamento, il problema del finanziamento dei partiti non è stato ancora risolto. E non è stato ancora risolto perché i partiti non hanno voluto risolverlo: hanno continuato a mantenere, come sempre hanno avuto in Italia, uno status di associazioni di fatto che godono di una sorta di extraterritorialità. In nome della libertà e dell’autonomia, hanno preteso di non essere sottoposti a regole e controlli. Così, ci sono norme su come ottenere il denaro, ma non su come utilizzarlo. Che cosa è configurabile come spesa per la politica e che cosa no? Non si sa, non è scritto. Lusi avrebbe messo tredici milioni della Margherita in una cassaforte privata; il tesoriere della Lega ha fatto investimenti in Tanzania; altri con i soldi del partito hanno comperato appartamenti. È in questo vuoto normativo che può succedere di tutto. I partiti lo sanno, e qualcuno comincia a pensare che sarebbe meglio chiedere quei controlli che si son sempre voluti evitare.

Anche perché – e questo è il motivo principale della reciproca non aggressione – sanno che mai come adesso sono esposti al vento dell’antipolitica. È un vento non sempre portatore di pulizia. Porta anche pregiudizi e generalizzazioni: solo i fanatici possono pensare che tutti gli amministratori pubblici siano corrotti. Ma è un vento che ha purtroppo ampie ragioni per soffiare, e che in questo momento non spinge né a destra né a sinistra. Tutti i partiti sentono il crollo di fiducia nei loro confronti, e sanno che a differenza di vent’anni fa il malcontento non si manifesterà con le fiaccolate, ma con qualcosa di molto più pericoloso per loro: l’astensione. E con il crescere di una convinzione sempre più diffusa: piuttosto che affidarsi ai politici, è meglio continuare con i tecnici.

È per questo che sugli scandali politici dei nostri ultimi tempi i partiti hanno scelto la tregua. Sanno che quando qualche procura alza il velo su qualche malefatta, non devono chiedersi per chi suona la campana.

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