Fuga dal mondo? (monachesimo)


 

Un tempo si bollava il medioevo come un’epoca di oscurantismo che precedeva le fulgide scoperte del Rinascimento, e soprattutto dell’Illuminismo (che si risolse con il bagno di sangue operato dal suo più prezioso gioiello: la rivoluzione francese).

Ora probabilmente se si va a chiedere anche agli studenti cosa sia il medioevo, temo che non sappiano nemmeno che esiste un periodo storico che si chiama così.

Eppure è nel Medioevo che sono state poste le basi per la cultura occidentale e  chi ha lavorato sodo anche senza fare troppo rumore sono stati i monaci che hanno costruito i loro monasteri, dissodando luoghi deserti e impervi e rendendoli abitabili, che hanno custodito e ricopiato con la preziosa opera degli amanuensi i manoscritti dell’antichità latina sottratti alle invasioni barbariche che devastavano l’Italia e l’Europa dopo la caduta dell’impero romano.

Intorno alla loro tenace operosità sono rinati i villaggi e quella civiltà che ha punteggiato di splendide cattedrali tutta l’Europa medievale. La storia di quei secoli, anche dal punto di vista letterario, è interessantissima e non è possibile riassumerla in poche righe; però ho trovato un’utile riflessione di Luigi Negri sugli orientamenti dell’attuale intellighenztia laicista in rapporto a quel periodo ricchissimo.
Si tratta di un articolo proposto da
Storia Libera:

Piedi per terra occhi al cielo


Chi guarda la presenza del Cristianesimo nella storia con gli occhi dello storico serio non può non notare che la cristianità medievale è stata appunto «presente» nel mondo: ha guardato la vita ed i suoi problemi con la cultura che nasceva dalla certezza dell’avvenimento della fede: ha reso gloria al Signore usando la realtà non per la propria gloria ma per la gloria di Dio, appunto: ed, in questo e per questo, ha vissuto intensamente la propria vita.

Perché, allora, l’ideologia e la storiografia laiciste parlano di fuga dal mondo, di disprezzo della realtà ecc.?

Il primo equivoco è nella parola «realtà», o «mondo», o «storia».

Esso non significa – per il laicismo – soltanto i campo dei rapporti, dei problemi e delle situazioni in cui l’uomo è chiamato ad impegnarsi con una propria visione della realtà e con una propria responsabilità ma significa un certo modo con cui l’uomo imposta i problema del suo rapporto con il mondo.

Per il laicismo l’unico contenuto della parola «mondo» o «storia» è che l’uomo è capace di vivere in modo assolutamente autonomo (leggasi da Dio) ha propria vicenda umana: è in grado di conoscere ha realtà in modo definitivo (con la propria ragione e quindi, la scienza) ed è in grado di trasformarla con la propria volontà (tecnologia e politica).

«Mondo» o «storia» significa, quindi, che nella realtà c’è un solo progetto possibile: quello dell’uomo senza Dio. Se il cristiano (che è un uomo «con Dio») si pone nel mondo con un altro progetto (quello appunto che nasce dall’esperienza della fede e dalla compagnia di Cristo) allora l’integralismo laicista le accusa di «non essere nel mondo». Ma è solo l’intolleranza di chi non sa accettare il diverso, perché non può concepire nessun altro modo di vivere e di affrontare la realtà.

Non c’è un unico modo di vivere la propria avventura umana, ce ne sono diversi: nel confronto il Cristianesimo si rivela come il modo più umano di vivere la vita.

Ma l’integralismo laicista può arrivare a condizionare la coscienza della fede dal suo interno. Tutte le volte che si propone una fede ridotta, che si limita ad alcuni aspetti della vita dell’uomo e non «discute» il progetto «mondano» sul mondo e sulla storia, si propone una fede subalterna alla mentalità ideologica dominante.

E’ questo quello che il Concilio Vaticano II ha chiamato l’errore e la tragedia del nostro tempo. Recuperare l’integralità della fede e del progetto di vita che da essa nasce e testimoniarlo lietamente nel mondo davanti alla libertà degli uomini, è questa la grande responsabilità dell’oggi e del domani della Chiesa.

Il progetto laicista sulla storia e sul mondo ha mostrato i suoi equivoci ed ha fallito; nel vuoto delle ideologie che è anche luogo di attese e di speranze, la fede può e deve tornare ad essere la proposta di vita autentica e di civiltà per l’uomo.

«Questa speranza si è accesa nel cuore dell’autore di questo libro il 13 di ottobre del 1953, quando, alla vigilia di una tavola rotonda organizzata a Roma dal Consiglio d’Europa, compì un pellegrinaggio, da lungo tempo meditato, al Sacro Speco: la grotta che si apre nel fianco roccioso di un burrone nei dintorni di Subiaco, dove la tradizione vuole che San Benedetto abbia trascorso gli anni del suo itinerario spirituale vivendo come anacoreta prima di ricevere e accettare la vocazione che lo chiamava a Montecassino. Qui nacque la prima cellula del cristianesimo occidentale; e, quando il pellegrino legga la commovente, iscrizione latina sulla quale il papa Pio IX ha segnato i nomi di tutti i paesi, fino agli estremi limiti della terra, evangelizzati grazie all’impeto spirituale prorompente da questo luogo consacrato, non può non pregare, come io ho pregato, che lo spirito che un tempo diede vita alla civiltà cristiana occidentale creandola dal caos dei secoli bui possa tornare a consacrare una volta ancora il mondo attuale adattandosi al modello occidentale» (Toynbee, “Religione e storia”, p. 163).

 

Tratto da Litterae Communionis, anno XII, aprile 1985, p. 42.

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1 Commento

  1. salutino telegrafico stef

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